Progetta un sito come questo con WordPress.com
Comincia

Mindfulness (istruzioni per l’uso!)

Essere consapevoli di ciò che ci frulla in testa è fondamentale per poter vivere al meglio limitando gli errori dovuti all’impulsività, con questo però non voglio dire che questa disciplina ci impedirà di sbagliare, perchè infondo siamo umani e crescere implica anche permettersi di compiere scelte errate. Questa disciplina arriva in nostro soccorso nel momento in cui ci rendiamo conto che alcuni nostri schemi mentali, che poi si trasformano in azioni, non sono più validi nel nostro processo di crescita, perchè non ci permettono più di fare passi avanti. In questo articolo, che forse troverete un po’ complicato, vorrei fare chiarezza su come sfruttare al meglio la Mindfulness, perchè essa infatti può essere un grande alleato se interpretata nel modo corretto, viceversa potrebbe rivelarsi, come vi accennavo nel post precedente, deleteria.

La mindfulness, fin dai primi tempi in cui comincia ad essere praticata, rivela un’informazione molto particolare, ci insegna che per quanti possano essere i pensieri che ci propone la nostra mente, esiste una parte di essa che può accorgersene. Capita infatti che per un singolo argomento affiorino pensieri contrastanti, questo crea confusione e può capitare di perdere la connessione con ciò che siamo e ciò che desideriamo. In questo caso la Mindfulness arriva in nostro soccorso per aiutarci, attraverso la focalizzazione sul respiro, a riconoscere ogni pensiero. Un esercizio utile nei momenti di confusione mentale può essere di prendere carta e penna e scrivere un elenco dettagliato di ogni singola idea che ci appare. Comprendere di essere confusi ed accettare che questo è normale, che al momento è verità ma che, come tutto, ha una sua durata esistenziale, ci permetterà di creare il giusto distacco dalla situazione prendendoci il tempo necessario affinchè la nostra mente elabori la situazione. Mi piace descrivere la nostra mente come un computer che elabora e cataloga tutti i dati ricevuti fino a creare un quadro completo, perchè questo è ciò a cui serve. Essa infatti è fondamentale per permetterci di sopravvivere grazie agli insegnamenti appresi nel tempo.

Fatta questa premessa posso procedere affrontando l’argomento del post: quando utilizzare la Minfulness per sentirci meglio e quando invece optare per una strada alternativa.

La Consapevolezza può essere utile nei momenti in cui, appunto, ci sentiamo confusi. Dopo aver suddiviso i pensieri, sarà necessario scavare a fondo in ognuno di essi, percependo quale emozione trasporta ciascuno. Le emozioni sono strettamente collegate ai pensieri, ma se con i primi possiamo limitarci ad osservarli senza elaborare un giudizio in merito, con le seconde è necessario adottare una tecnica differente, ad esse infatti va permesso di esistere all’interno di noi. Mi spiego meglio, quando arriva un pensiero, possiamo accorgercene così da lasciarlo andare rifocalizzandoci sul respiro, diciamo che la metafora più utilizzata è quella di un cielo sereno attraversato da nuvole (i pensieri, per l’appunto) che fluttuano entrando ed uscendo dal nostro compo visivo. Quando arriva un’emozione, solitamente rivelata a noi in seguito ad un pensiero, ci verrebbe istintivo utilizzare la Mindfulness e le sue tecniche per distrarci e lasciarla andare, ma questo non è corretto. Svicolare le emozioni è tra le attività preferite dalla nostra mente, soprattutto quando qualcuna di esse le risulta scomoda, ed è proprio qui invece che bisogna lavorare, focalizzando l’attenzione proprio sull’emozione stessa, osservare in che parte del corpo si concentra, sentire appieno la sua carica energetica, considerare se nel procedimento dell’accettazione scaturiscono ulteriori pensieri ed altrettante emozioni in merito.

Per quanto tempo può persistere un’emozione? Esiste un modo per “liberarsene”?

Un’emozione appena nata, relativa ad un pensiero nuovo, può anche avere una vita molto breve, ossia di circa novanta secondi, immaginiamo ad esempio un momento in cui ci facciamo una risata con un amico, o quando ci prendiamo uno spavento. Quando però non le viene permesso di esprimersi e di esistere, allora al momento si nasconderà lasciando però la sua carica emotiva addormentata e pronta a risvegliarsi nel momento in cui nella nostra mente si ripresenterà quel determinato pensiero.

Una cosa che fa sorridere? Noi nasciamo con l’innata capacità di saper gestire le nostre emozioni benissimo! Cosa fanno i bambini quando non si sentono bene? Piangono, corrono, giocano, scaricano le emozioni in maniera naturale. Crescendo però la società si aspetta che si impari a gestirle, “Non piangere!” è una delle frasi che si sentono più spesso quando un bimbo, piangendo, disturba il genitore. Ma ora siamo adulti e quindi cosa possiamo fare con le nostre emozioni? Di certo non possiamo metterci a strillare di fronte a tutti! Vero, c’è da ricordarsi però che ognuno di noi ha un “luogo sicuro” dove può prendersi del tempo per rilasciare le tensioni, dapprima sarà un luogo fisico, come una stanza, in seguito poi potrà trasformasi in una zona di pace dentro di noi. Fare attività fisica è sicuramente un buon modo per scaricare la tensione, lo Yoga ad esempio è molto utile nei casi in cui nel tempo si siano accumulate parecchie emozioni trascurate, ma anche un bel pianto liberatorio può essere estremamente utile, cantare a squarciagola, prendere a pugni un sacco da boxe. Ognuno, in base all’emozione che prova, può poi comprendere quale sia la tecnica giusta per liberarla. Di certo ora sappiamo che l’unica cosa sbagliata è reprimerle, queste emozioni.

Che errore si può compiere prestando attenzione spesso ai propri pensieri?

Può capitare che diventi un’abitudine controllare frequentemente che tipo di pensieri frullino nella nostra testa, giudicandoli, decidendo se sia giusto o meno che esistano. Questo è un errore da non fare! Non per forza dev’esserci un motivo per cui il nostro “computer mentale” ci manda un segnale, e non per forza dobbiamo identificarci con ogni pensiero che abbiamo nella testa. Vi ricordate dell’esempio del ciclista per strada? Se mentre guido vengo infastidito dalla presenza di un ciclista per strada, e mi arriva il pensiero che per toglierlo di mezzo potrei investirlo, io non reputo di essere un assassino per questo, perché infondo si tratta solo di un pensiero, perché mi accorgo di questo pensiero ma scelgo di non agire.

Noi abbiamo dei pensieri, ma non siamo i nostri pensieri, siamo le azioni che compiamo in seguito al modo in cui interpretiamo un pensiero. Non commettiamo l’errore di identificarci con ogni pensiero, perché ripeto, i pensieri sono input che la nostra mente ci manda in seguito ad esperienze passate, azioni viste (per assurdo anche in tv!), cose sentite, etc etc.

Quando lasciare andare e quando, invece, focalizzare l’attenzione sul pensiero o sull’emozione?

Lasciamo andare un pensiero quando ci rendiamo conto che appartiene ad uno schema mentale ricorrente che nel tempo si è rivelato dannoso, ad esempio pensieri negativi, giudizi aggressivi nei confronti di noi stessi, riflessioni pessimistiche sulle nostre capacità, pensieri pessimistici generali, supposizioni sul futuro di cui è impossibile avere certezza, rievocazione di ricordi inerenti a situazioni avvenute in passato che non possiamo più modificare.

Accettiamo la presenza di un pensiero relativo ad una situazione presente, permettendogli di svilupparsi in possibili scenari risolutivi in merito ad una situazione. Abbracciamo ogni emozione che percepiamo all’interno del nostro corpo, ricordando che esso è un tempio, all’interno del quale abitiamo sia noi che le nostre emozioni. Impariamo a conviverci, senza esprimere opinioni relative alla loro presenza, permettiamogli di esistere per tutto il tempo necessario affinchè se ne vadano, perchè si, ogni emozione è transitoria, se la si accoglie nel dovuto modo, viceversa, sopprimendola, creerebbe resistenza trasformandosi con il tempo in uno stato d’animo dal quale sarà sempre più difficile uscire.

Concludo questo post con un breve riepilogo:

Non possiamo scegliere nè che pensieri ricevere dalla nostra mente, ne che emozioni provare, possiamo però decidere come approcciarci ad essi, se lasciarli andare o se permettergli di esistere, può anche capitare che prendano il sopravvento, e di questo non dovremo farcene un problema, è giusto anche permettersi di non saper gestire una situazione. Accettare, con compassione nei nostri confronti, ogni “intemperia” che ci si presenta nella vita, è la chiave per muovere i primi passi verso quel luogo, dentro di noi, dove esiste la quiete.

Buona domenica a tutti!

Pensieri sfusi.

Quest’oggi ho deciso di condividere una serie di pensieri sfusi, da scegliere, leggere ed interpretare un po’ come quando sei al mercato e devi decidere quali tra le tante zucchine mettere nel sacchetto. Opinioni personali che desidero condividere, mossa dalla curiosità di conoscere quale sia il vostro pensiero in merito.

  1. La riorganizzazione degli armadi e degli spazi abitativi è un’attività che mi intriga parecchio. Aiutare la persona a comprendere cosa tenere e cosa abbandonare, dimostrare che organizzando in modo diverso è possibile avere più spazio, trasformare una semplice stanza caotica in un luogo dove trovare un po’ di quiete a fine giornata, questo è ciò che mi affascina. Il potenziale benefico che si cela dietro ad una semplice azione come riordinare è sorprendente. Vorrei creare un vero e proprio business, non ho ancora il nome adatto però, dovrebbe essere qualcosa inerente alla riorganizzazione ed alla liberazione dal superfluo, sia materiale che mentale. Idee?
  2. Ieri ho guardato Sanremo, ma per solo un’oretta. Non mi piace il modo impostato che utilizza Amadeus per condurre, e nemmeno come devono recitarci attorno gli ospiti, lo trovo un programma che avrebbe dovuto rimanere nei ricordi dei bei vecchi tempi degli anni 90. Se voglio ascoltare della musica uso spotify che, a parte quei cinque minuti di pubblicità ogni mezz’ora, non lascia il retrogusto amaro di una conduzione deprimente. Creiamo una petizione per abolire questo programma? Fanculo le tradizioni.
  3. Il tempo passa ed è piacevole rendermi conto che, per quanto a volte le risposte non fossero tra le più rosee, le letture di Tarocchi che ho fatto ad amiche si stiano rivelando azzeccate. Casualità o davvero esiste una sorta di “destino” che può essere guardato? Il tarocco in sé sarebbe nato per “illuminare” ciò che tendiamo a nascondere a noi stessi o a reprimere. Vi siete mai fatti leggere i tarocchi?
  4. In questi giorni ho permesso alle mie paure di prendere il sopravvento a discapito del mio io osservatore*. Lasciarle vivere ed estinguersi è stato liberatorio. Ora la faccenda si complica, credo che scriverò un articolo specifico su come la Mindfulness possa essere a volte utile, altre invece forse deleteria. (* La parte mentale di ognuno di noi, che è in grado di osservare i pensieri).
  5. La luna nuova in acquario mi ha letteralmente smosso l’anima. Voi percepite l’influenza della luna?
  6. Ho letto una frase che voglio condividere perchè credo abbia una strana verità, diceva più o meno cosi: ” Tutto ciò che accade, non accade a te. Succede PER TE. Per aiutarti a conoscerti, a capire quali sono i tuoi reali desideri per poter poi realizzare il tuo destino.” Che ne pensate?

Per oggi è tutto, vi auguro una buona serata!

Come faranno?

“Come faranno?” mi chiedevo osservando quella tipologia di persone che non fanno morire le piante. Se ne prendono cura, si ricordano di annaffiarle e di togliere le foglie ingiallite, alcuni soggetti persino ci parlano. Io, se proprio, ad una pianta potrei cantare una canzone funebre. “Come faranno?” mi domandavo guardando chi la mattina si mette ai fornelli per preparare qualcosa di pronto da trovare per cena. Dove la trovano la voglia di pensare alla ricetta, di seguire la preparazione mentre il tutto si cuoce sul fuoco. Quanta pazienza, e che poca voglia! E quelli che puntano la sveglia alle sei di mattina, ed escono a correre prima di andare al lavoro, e poi magari la sera hanno pure l’energia per fare un aperitivo con gli amici? Ma dove la trovano l’energia? E quelle donneche badano ai figli che vanno a scuola, e poi magari lavorano pure, ma com’è possibile riuscire a seguire tutto, e soprattutto, come può questo “tutto” essere fatto con gioia?

Con queste domande osservavo la gente vivere mentre io mi trascinavo tra mattinate a casa trascorse guardando la Tv e pomeriggi, per non dire intere giornate, passati al lavoro, aspettando solo il momento di abbassare la serranda per tornare a casa, sul divano. Per carità, non era solo questo il contenuto delle mie giornate, erano spesso rese luminose dalla compagnia delle persone a me care, eppure, in sottofondo, sempre la stessa melodia di insoddisfazione, di malessere, quella sensazione di non avere uno scopo, di essere qui su questo pianeta giusto perchè ci sei capitato. Il fatto è che, a prescindere dal modo in cui ci sono arrivata, a quella sensazione, c’è stato un momento in cui me ne sono accorta, di avere un’alternativa alla solita suonata deprimente. Passeggiando, un giorno qualunque, ho capito che non per forza avrei dovuto passare il resto della mia esistenza con quell’angoscia addosso. Ma sapete qual’è la questione? Che quando, negli anni, certi stati d’animo ti si cuciono addosso, si finisce con l’identificarsi con essi, col sentirsi un tutt’uno con loro. Ma di questo si tratta: di stati d’animo, e nel momento in cui ce ne si accorge, cominciano ad allentare la presa.

Vivere, nel significato più profondo del termine, è uno stato d’animo. E’ permettere a quell’energia che governa tutto, l’Amore, di guidarti istante dopo istante. Tanti pensano di doverlo cercare in qualcosa, in un luogo, o in qualcuno là fuori. Ma ho scoperto che nasce e si sprigiona da dentro. E’ solo necessario accorgersi che c’è qualcosa, una qualche resistenza, che gli impedisce di svelarsi.

Ora ho delle piante in casa, e sono ancora vive, alcune hanno persino fatto spuntare nuove foglie, ed è bastato davvero poco, c’è solo da ricordarsi di guardarle una volta al giorno per essere certi che non desiderino acqua. E che dire della frittata di ceci che questa mattina ho preparato per il mio rientro a casa di questa sera? Ho seguito persino una ricetta dall’inizio alla fine. Allora queste cose che credevo impossibili, si possono fare!

Mi sarà forse “saltata addosso” la voglia di vivere?

Col tempo lo scopriremo…

Per ora, vi auguro una buona serata!

Frittata di farina di ceci con bieta e curry… e voglia di vivere!

Sproloquio mentale

(In effetti è parecchio che non ne faccio, di sproloqui!)

Tutto comincia, o meglio riparte, dalle ore otto di quel sabato mattina, quando, in viaggio verso il lavoro, mi ritrovo a guidare in autostrada.

Appena dopo l’immissione, allo spostarsi dell’auto che ho di fronte, avvisto alcuni oggetti, al momento non ben identificabili, sparpagliati al centro della carreggiata che sto percorrendo. L’auto avanza mentre, attraverso i miei occhiali, cerco di mettere a fuoco le suddette sagome. Sembrerebbero pezzi di cartone (quindi innocui) e poi… sembrerebbe polistirolo grigio… che stranezza.. allento la pressione del piede sull’acceleratore.. questione di pochi centesimi di secondo e comprendo che, in verità, si tratta di… cemento! Blocchi di cemento armato, per l’esattezza. Ora che è tutto più chiaro, comprendo che il soggetto è una lunga “trave” che, cadendo dal camion, dev’essersi rotta in più pezzi, non essendo segnalato in alcun modo, sarà accaduto di recente. Il tutto avviene in davvero pochi istanti, ma abbastanza da rendermi conto che ormai non c’è più tempo per sterzare o per spostarmi. Che faccio? Una voce nella mia testa mi suggerisce di passarci attraverso, o per meglio dire, al di sopra. Come in un videogioco evito ogni blocco sterzando a zig zag, quasi soddisfatta delle prestazioni della mia 500! Avrò fatto la mossa giusta? Un tonfo sordo ma lieve mi conferma che non ci sono dubbi, mossa errata! L’auto prosegue la sua corsa ma per sicurezza accosto e viaggio nella corsia d’emergenza per qualche minuto, (si lo so che non si può fare), giusto il tempo di verificare di avere ancora tutte le gomme integre e soprattutto… di non aver perso un pezzo di auto, che ne so, tipo la marmitta! Incolumi, sia io che il mio bolide, raggiungiamo il centro commerciale. Botta di fortuna? A distanza di un mese posso confermarlo. Credevo forse di essere alla guida di un carro armato? In quell’istante suppongo di averlo pensato. Sono ancora viva? Oh yesss…. ma in tutto ciò, la mia Ansia di guidare? Ebbene si, è tornata.. più carica che mai, con tante nuove idee terrificanti ed altrettanti suggerimenti orrendi.

Cara amica Ansia, scrivo il tuo nome con la maiuscola perchè ormai hai una tua vera e propria identità, cosa devo fare con te? Perchè non mi lasci vivere la mia vita in serenità? Alcuni giorni te ne resti nascosta, e ti dirò, è veramente molto bello, poi però, quando c’è da mettersi al volante, apri la portiera ed agganciandoti la cintura di sicurezza, ti siedi accanto a me. Ma che dico! Passi a suonare il campanello di casa persino qualche ora prima, come se ti avessi invitato a bere un caffè prima del viaggio. Io non ti voglio, non sei la benvenuta, ma non lo vuoi capire. Il fatto è che sarebbe davvero molto bello se le emozioni fossero persone a cui dire di andarsene, ma non essendo così, che soluzione posso trovare?

Stare con ciò che c’è, accettarlo, permettergli di esistere dentro di noi finchè non sarà esso stesso ad andarsene, è questo ciò che va fatto. Però, posso dirlo? Quanto è difficile?

E voi, che rapporto avete con l’ansia? Vi è mai capitata qualche disavventura stradale?

Buona serata, baci a tutti

da Roby e la sua amica (si spera ancora per poco) Ansia.

Operazione Olistica!

Un altro piccolo traguardo che raggiungo con gioia! A maggio 2021 ho superato l’esame per diventare insegnante di Mindfulness, nonostante ciò ho però ritenuto opportuno studiare di più, per essere ancor più idonea all’insegnamento di questa pratica che ritengo essermi stata estremamente d’aiuto in quello che io ho chiamato “percorso alla ricerca di me stessa”! Ieri, dopo ulteriori mesi di approfondimento ho conseguito il mio secondo attestato, quello di facilitatore Mindfulness.

Cos’è un facilitatore? “Chi svolge un ruolo di consulenza e di mediazione all’interno di un gruppo o di un’organizzazione, allo scopo di ridurre i conflitti, aumentare il coinvolgimento e la partecipazione, stimolare all’analisi e alla soluzione dei problemi.” Questa è la definizione fornita dal web, che io però reputo un po’ vaga.

Quello che, secondo il mio parere, è il compito di un insegnante mindfulness è permettere a chi si sente sopraffatto da pensieri ed emozioni, di ritrovare sè stesso, facendosi strada attraverso i propri schemi di pensiero che nel tempo si sono rivelati dannosi e negativi, per trasformarli in consapevolezza e lasciarli andare.

Questa disciplina, infatti, permette a chi la pratica di riconoscere i propri pensieri ed emozioni nel momento in cui insorgono all’interno della propria mente o del proprio corpo, per osservarli, comprenderli e decidere se ascoltarli o se gentilmente lasciarli andare. La mindfulness crea spazio tra il nostro essere profondo e la nostra mente, che per tanti può essere piena di argomenti che scatenano ansia e insoddisfazione, non accettazione del passato e paura del futuro.

Questo è stato un ulteriore piccolo passo in questa avventura alla riscoperta di me stessa. Perché dico Ri-scoperta? Perché quando nasciamo sappiamo già chi siamo, e senza paura lo mostriamo al mondo, poi però arrivano le “etichette” che gli altri ci fanno credere di avere (“sei timido, sei aggressivo, dovresti essere.. etc etc”) ed allora cominciamo piano piano ad allontanarci dal nostro IO interiore, per somigliare a qualcuno che, a detta degli altri, andrebbe meglio essere. E seppur io creda sia necessario avere una base di rispetto ed altruismo per poter convivere su questo pianeta senza ledere nessuno, ritengo allo stesso tempo che la vita di ogni singolo individuo appartenga solo ed esclusivamente ad esso, e che quindi ognuno di noi ha il diritto di essere, consapevolmente, chiunque si senta e voglia!

Buona Domenica a tutti 🙏🏻✨

Perdere la brocca come ai vecchi tempi.

Da quando racconto in giro di aver conseguito il diploma di insegnante Mindfulness, tutti si aspettano che io sia Gandhi in versione femminile. Peace and love, solo amore per tutti, chiudi un occhio e porgi l’altra guancia. Per qualche tempo ho creduto di potermi avvicinare a questo tipo di identità, fino a che, ieri, un cliente tutto fuorchè consapevole, è riuscito a farmi capire che… no, resto sempre un’attaccabrighe, mascherata da hippie, e nemmeno così bene. Mentre lui (il cliente) borbottava il suo disappunto alla fidanzata, a bassa voce, ma non così bassa da impedirmi di sentirlo, io percepivo la rabbia, da poca che era, aumentare fino all’ebollizione. “Sono commercialista, quindi so bene come funziona la legge!” si è etichettato il cliente nella speranza di poter ricevere gratis uno tra i capi che aveva scelto di acquistare. Alla fine gliel’ho data vinta, “Siccome il cliente ha sempre ragione, le faccio la promozione che vuole lei, così è contento!”, ho esclamato dopo l’ennesimo borbottio… e la cosa più sconvolgente qual’è stata? Che era talmente concentrato sul suo obiettivo dettato dall’ego, per non rendersi conto che lo stavo platealmente sbeffeggiando.!

Il mio è stato un atteggiamento mindful? Ovvio che no. Ma da questa consapevolezza arriva la certezza che c’è ancora un po’ da lavorare sulla mia emotività. Infondo, per il momento, resto pur sempre un essere umano.

E voi? Sapete “mordervi la lingua” o talvolta, come è accaduto a me, “perdete la brocca”?! Sono curiosa…

Una buona serata a tutti!!

Guarigione

In questo anno ricco di colpi di scena e di cambiamenti ho appreso una cosa fondamentale: l’importanza di saper chiedere aiuto. Sono immensamente grata ai miei genitori per avermi insegnato a contare su me stessa, ad arrangiarmi in ogni circostanza, devo però ammettere di aver, forse, mal interpretato il loro insegnamento, fino ad arrivare alla convinzione che dovevo, per forza, a tutti i costi, farcela da sola, senza chiedere né aspettarmi aiuto da nessuno. Forse per orgoglio, o per stupidità, mi ero imposta di dover sempre essere forte per non dipendere mai da nessuno, sia nella quotidianità che nella difficoltà. Quest’anno però, seppur contro la mia volontà e le mie più buone intenzioni, mi sono dovuta fermare, per osservare la mia vita e rendermi conto che da sola, intrappolata nella mia testa, non sarei mai stata in grado di aiutarmi, così ho chiesto aiuto ad una psicoterapeuta. Rivolgersi ad un dottore quando non ci si sente bene, è normalità, eppure, quando si tratta di salute mentale, ce ne riguardiamo bene dal farlo. Quando ho pubblicato il mio primo articolo su questo blog, ho raccontato di sentirmi persa, di non sapere più né chi fossi né che strada prendere. Oggi si è concluso, positivamente, il percorso che da luglio ho affrontato affiancata dalla dottoressa. E’ stato un viaggio introspettivo illuminante, seppur a tratti molto ostico, affrontare infatti ciò che per molto tempo avevo tenuto represso si è rivelato più difficile del previsto.

Mentre venivo accompagnata alla prima seduta, ogni singola cellula del mio corpo mi gridava di non farlo, che non ce n’era motivo, che nessun estraneo avrebbe potuto comprendere cose che nemmeno io avevo capito di me stessa, ero bloccata dalla paura. E’ strano ricordare quel giorno, quel momento in cui quella me di luglio si è seduta di fronte a quella scrivania, e rendermi conto che di quella ragazza impaurita e depressa non c’è quasi più traccia, se non talvolta qualche ricordo confuso.

Mentre scrivo, nella mia mente la voce mi dice che dovrei farmi riguardo nel parlarne, eppure lo so che è sempre lei, la mia solita e vecchia amica paura del giudizio che cerca di fermarmi, ma ho imparato a non darle più retta. Buona parte dei giudizi emessi dalle persone dicono tanto di loro e ben poco di me, possa magari essere questo mio scrivere uno spunto di riflessione per chi, leggendo, trova nelle mie parole un’occasione per giudicare. Anche l’etichettare è, di per sé, un prodotto della mente incontrollata.

Tornando a quel primo incontro, di fronte alla dottoressa, si accomodava una ragazza certa di non essere in grado di affrontare, tollerare e superare una qualsiasi situazione difficile, o ancor peggio, di sofferenza.

Nella convinzione di essere intrappolata in una città che detestavo, incapace di affrontare un viaggio in auto che non fosse di massimo dieci minuti, convinta che se non fossi stata quanto di più perfetto sulla terra non avrei mai ricevuto affetto da nessuno, vivevo costantemente accompagnata da una strana ansia di vivere, nella costante paura che qualcosa andasse storto, dall’incombenza di eventi catastrofici che mi avrebbero portato alla morte.

Oggi comprendo pienamente queste parole, ma non le condivido più, perché nel coraggio che ho trovato nel chiedere aiuto, ho ritrovato me stessa ed allontanato la paura.

A settembre, dopo qualche giorno al mare e due in montagna, ho deciso che non avrei più voluto passare altri giorni in quell’appartamento a Bergamo, così, tenendo d’occhio gli annunci immobiliari, non ci siamo lasciati scappare l’occasione di una bella casa nella mia amata città, Brescia. Arredarla da zero sarebbe stato complicato visti i non brevi tempi di attesa, ma tra scelte veloci e montaggi in ritardo, siamo riusciti a trasferirci a Dicembre, ovviamente facendo qualche “piega” (Non si può ottenere tutto e subito). L’altro grosso problema era avere un’auto che reggesse le tratte autostradali (ahimè la mia Peugeot 107 non se la sentiva proprio), ma anche quello è stato risolto acquistando una 500, che s’è comunque fatta desiderare, ma nei tempi previsti. La paura della guida, sia notturna che con nebbia, pioggia e persino la neve, è stata egregiamente superata, seppur con qualche momento di difficoltà. E la necessità di essere sempre perfetta per tutti con la convinzione che se non fosse stato così non avrei ricevuto affetto? Sparita. Perché infondo l’amore è irrazionale e non esiste trucco per ottenerne di sincero, arriva e basta, e la perfezione universale non esiste, ed anche se esistesse beh, sapete una cosa, chissenefrega! La perfezione non fa per me, la lascio a chi intende vivere la sua vita senza il minimo di spontaneità.

Quello che quindi voglio condividere con voi oggi è un insegnamento con più sfaccettature: Siamo NOI a decidere i nostri limiti, è importante fermarsi ad osservare cosa ci impedisce di superarli (piccolo spoiler: è la paura!). La sofferenza fa tantissima paura, finché non si trova il coraggio di guardarla in faccia, ed accoglierla, accettarla, dirle “Ok, va bene, ci sei, sto con te finché non te ne vai..”. E’ importante amare noi stessi a tal punto di ammettere di aver bisogno di aiuto e di tendersi da soli la mano, contattando qualcuno che possa accompagnarci in un percorso di guarigione. Ed infine, è essenziale ricordare che in questo momento le cose forse non sono come vorremmo, ma esistono infinite possibilità ed alternative, se solo si guarda oltre la paura.

UN PASSO ALLA VOLTA.

Auguro a tutti un felice anno nuovo, senza mai dimenticare che il tempo è solo un’invenzione dell’uomo per organizzare la sua esistenza, ciò che conta è altro, come scrivevo in questa poesia tempo fa, ciò che conta è solo questo preciso momento.

Se non fosse per l’invenzione del tempo 
che dà una scadenza a tutto, 
e ci fa correre nella fretta di vivere,
e per la paura, 
che ci spinge ad indietreggiare.
Se non fosse per i ricordi e per la speranza, 
per il sole e per la Luna che immortali ci guardano invecchiare,
saremmo solo anime, una di fronte all’altra, che si sfiorano e si comprendono.
E nulla avrebbe più importanza, 
di quell’istante.
⭐️

Aggiornamenti

Buonasera a tutti!

È parecchio tempo che non aggiorno il blog e che non racconto dei progressi fatti in questo mio viaggio alla ricerca di risposte alle tante domande esistenziali che mi sono sempre posta. Vorrei raccontare tante cose, soprattutto perché negli ultimi mesi la mia vita è cambiata parecchio, ma nel dettaglio ci entrerò nei prossimi post. Questa sera voglio solo fare una piccola riflessione sui pranzi e sui cenoni di queste festività che stanno arrivando.

Mentre guidavo in autostrada, andando a lavoro, mi sono ritrovata a sorpassare uno di quei camion che trasportano animali vivi. Mentre gli passavo accanto ho notato tanti musetti di maiali che sbucavano dalle piccole fessure di cui era costituito il container. Fuori faceva freddo, era mattina, e non ho potuto trattenere le lacrime al pensiero che il loro ultimo giorno di vita lo stavano trascorrendo così, infreddoliti ed impauriti, seppur ignari, diretti verso un macello.

Come può essere una festa altruistica come il Natale, così piena di indifferenza? Li vedo gli scaffali dei supermercati pieni di quelle tristi confezioni di zamponi o di cotechini che chissà quante scatole avanzeranno. È davvero necessario togliere la vita ad un animale per poterci cibare in un giorno di festa?

Chi siamo noi umani per decidere quanto può essere lunga l’esistenza di un’anima? Indubbiamente non ce ne rendiamo conto, che dietro ad ogni fetta di cotechino o braciola di agnello si nasconde un essere vivente nato per morire soffrendo.

Mi scuso se le mie parole sono state forti o se in qualche modo hanno turbato qualche lettore, ma questo è il mio modo di portare la consapevolezza in questo blog. La “colpa”, concedetemi il termine, la do alla nostra cultura, che negli anni ha normalizzato l’abuso nel consumo della carne (che, proprio tra parentesi, non fa nemmeno così bene alla salute, anzi! Vi lascio fare qualche ricerca per conto vostro..).

Invito quindi tutti a riflettere, ed a fare un piccolo piccolo gesto di altruismo e beneficienza, evitando magari, anche solo per un pasto, di includere chi, prima di finire nel piatto, aveva un’anima.

A volte si può fare beneficienza senza denaro e senza azione, anzi, in questo caso è proprio la non azione a fare la differenza, lo scegliere di NON alimentarsi con un essere vivente.

Buon natale a tutti, Vi auguro il meglio ✨

E se…

Chi saresti,

se non avessi paura?

Paura di essere te stesso per davvero. Paura di piacere agli altri a cui poi forse nemmeno piaci nonostante l’immenso sforzo di apparire come credi che loro ti vogliano.

Chi saresti,

se trovassi la forza di cambiare prospettiva e di seguire quella più importante, la tua, e non quella che ti hanno insegnato con le loro etichette negli anni.

Chi saresti,

senza quella corazza che limita il tuo potenziale unico, perché sei unico! Ma non te ne accorgi e resti lì a mimetizzarti tra la massa.

Chi saresti,

se avessi il coraggio di essere, per la prima volta, libero?

Nascondino con la rabbia.

Che emozione strana la rabbia, credo sia una tra le più sperimentate quotidianamente, sia per piccole che per grandi cose. Si può esserne catturati e reagire d’impulso, si può sentirla crescere dentro e mordersi la lingua, si può percepire ingrandirsi sempre più fino ad implodere e poi si può anche semplicemente osservare. Dico osservare perché tra le tante emozioni è quella che siamo abituati a riconoscere più che altre, lei è chiara e diretta, oppure così parrebbe, in questo ultimo periodo però ho compreso un segreto che si porta appresso. Lei, la rabbia, nasconde sempre qualcosa. È un po’ come il tronco d’albero dietro al quale ci si nasconde da bambini per non essere visti da chi ha fatto la conta. Noi siamo l’osservatore che cerca l’emozione, e tra di noi ci si piazza lei, la rabbia, come scudo.

La rabbia infatti nasconde sempre qualcosa di cui in realtà non vogliamo essere a conoscenza, perché vivere alcune emozioni, come ad esempio la delusione, farebbe molto più male e sarebbe più difficile da gestire rispetto ad un’abitudinaria ondata di irascibilità.

Quando accade qualcosa che ci turba e proviamo rabbia, anziché aspettare che passi, chiediamoci cosa essa stia nascondendo che al momento non vediamo. Attendere che sia il tempo a svelare certe emozioni represse non è mai utile, soprattutto perché così facendo ne perdiamo, di attimi in cui potremmo essere in pace.

Se arriva un’ondata di rabbia è necessario armarsi di coraggio e dire: “ok, cosa stai nascondendo?!” E poi affrontare o accettare la vera emozione che dovremmo provare al suo posto. Spesso si tratta di Paura, di non ottenere o di perdere qualcosa, in altri casi può essere tristezza per una delusione che non ci aspettavamo. Può essere disaccordo con un interlocutore in quanto riteniamo che la sua opinione leda in qualche modo il nostro ego. Ci sono tante opzioni ma un’unica soluzione: fermarsi, osservare e spostare la nostra attenzione un po’ più un la, esattamente dietro la rabbia. “Qual è il vero problema per me adesso?” C’è da chiedersi.

Questa emozione mi ha spesso aiutato a reagire, a non arrendermi o ad andare avanti, ma altrettante volte ha rallentato il mio percorso generando confusione. Con questa piccola “dritta” spero di essere stata utile, soprattutto a chi come me è stato spesso travolto dalla rabbia trasformandosi in qualcuno che non è mai stato.

Buona serata a tutti ✨

“Riorganizzazione emozionale”

“Conserverò anche questo!” mi dicevo “Così quando sarò vecchia, anche se dovessi perdere la memoria, questo oggetto mi racconterebbe di quel giorno, della fatica che ho fatto per averlo, mi direbbe CHI SONO!”

Così accumulavo e conservavo tra le cose più disparate: trucchi scaduti, sassi, legni raccolti in spiaggia, magliette indossate per l’ultima volta alle scuole medie, ritagli di giornale, scarpe e borse ormai logore. Più oggetti avevo più mi sentivo piena, rassicurata, apparentemente appagata e felice. E se un giorno me li avessero tolti? E se avessi dovuto rinunciarci? La risposta non era mai piacevole in quanto accompagnata da una stretta allo stomaco, non era possibile per me separarmene.

Il minimalismo é una scelta complicata, ma non impossibile a quanto pare. Ovviamente non sto parlando di me, non posso certo definirmi minimalista, forse “aspirante” ma alla lontana. Quello che ha portato beneficio nella mia vita dopo aver seguito alcune delle “regole” di questo stile è senz’altro la consapevolezza dei miei meccanismi mentali legati all’identificazione di me stessa con gli oggetti che mi appartengono. Oggi vi spiego come, passo per passo, riuscire a trasformarsi da accumulatore seriale a quasi esperto di “Decluttering”.

“Decluttering” è un termine inglese che vuol dire fare spazioeliminare gli ingombri: con il decluttering andiamo a disfarci di ciò che non serve per ritrovare un luogo più funzionale e organizzato, ma non solo; questa pratica, infatti, avrebbe anche dei risvolti positivi a livello psicologico, permettendo di focalizzarci sul presente. 

https://arblueclean.it/decluttering-casa/

Per cominciare devo fare una premessa: l’obiettivo che propongo io è più grande del semplice liberare un armadio, con questi brevi passaggi svelerò qualche trucchetto per apprendere, quasi senza rendersene conto, come liberarsi di emozioni, schemi mentali, trappole e persone inutili al nostro benessere.

La prima cosa importante è avere una PROFONDA INTENZIONE di voler agire. Questo percorso funzionerà solo se veramente vorremo imparare a lasciare andare. Senza il desiderio profondo di cambiare, non porterà a nulla se non ad un pentimento accompagnato da sensazioni fisiche sgradevoli. 

Il secondo passaggio è preparare tre scatole: Una sarà il contenitore degli abiti che abbiamo intenzione di regalare ad amiche e parenti, la seguente la consegneremo a chi si occupa di aiutare i più bisognosi, e l’ultima scatola conterrà i capi “senza speranza” ai quali non spetta altro che un viaggio in discarica.

Il terzo passaggio consiste nel fare un bel respiro e poi procedere all’apertura dell’armadio. Sarà sicuramente dura entrare nel “mood” di riorganizzatore quindi è del tutto normale sentirsi un po’ ansiosi. Si comincia col selezionare i capi d’abbigliamento la cui ultima volta che sono stati indossati risale ad un tempo lontano. Prestiamo attenzione alla nostra mente che potrebbe suggerirci cose del tipo: “E se poi torna di moda?” – “E se dimagrisco e poi riesco ad indossarlo?” – “Non lo indosso da una vita ma l’avevo pagato caro!”. Queste sono tutte fandonie che ci raccontiamo. Questi capi non li indosseremo mai più, non ci appartengono più ed occupano solo spazio nell’armadio. Afferriamo un indumento, inspiriamo e decidiamo in quale delle tre scatole inserirlo. Espirando lo congediamo prestando attenzione alle sensazioni che proviamo, osserviamo il lieve senso di liberazione che sentiamo al momento. Questo procedimento va fatto per ogni singolo capo. Al termine della nostra operazione di bonifica fermiamoci ad osservare il risultato del duro compito che abbiamo appena svolto e complimentiamoci con noi stessi! Riuscire a liberarsi anche solo di due capi d’abbigliamento può essere visto come un traguardo, infatti non c’è alcuna fretta, è un percorso da fare con i propri tempi.

Imparare a riconoscere il superfluo che ci circonda creerà un’apertura mentale che inspiegabilmente influenzerà anche il resto della nostra vita. Spesso infatti siamo intrappolati in alcune situazioni dalle quali ci sembra impossibile evadere, perché la paura di soffrire nel perdere la sicurezza che una situazione abitudinaria ci da è molto grande. Talvolta però queste circostanze in cui ci sentiamo impigliati non sono essenziali per la nostra sopravvivenza, tutt’altro, sono un ostacolo alla realizzazione dei nostri reali desideri.

Ma com’è possibile passare dalla sistemazione di un armadio alla trasformazione della propria vita? Di base si tratta di un semplice, o quasi, ripulisti dell’inutile per far spazio al nuovo. Soffocati dalle situazioni ed emozioni negative non riusciamo ad accogliere appieno le opportunità che la vita ci offre. Imparare a dire ADDIO agli oggetti che non ci appartengono più ci darà la forza per poter agire anche su questioni più profonde e meno materiali.

Viviamo nella paura di perdere ciò che ci appartiene ma per un semplice motivo: perché ci identifichiamo con esso. È importante ricordare che NOI siamo molto più degli abiti che indossiamo, della casa in cui viviamo, della nostra auto e del nostro lavoro. Cambiare o perdere una di queste cose non implica perdere anche noi stessi!

Una buona serata a tutti ✨ spero di avervi invogliato a muovere il primo passo verso una vita più leggera, ma per assurdo più piena! ✨

Panico in tangenziale

Ma tranquilli, nessun ferito. Come sempre è accaduto tutto nella mia testa!

Due giorni fa ho capito che ero stanca marcia di essere posseduta dalla mia paura di guidare, così ho preso in mano le redini della mia mente e l’ho zittita. Avrei sfidato me stessa e la strada, e dirò anche di più, utilizzando il mio acerrimo nemico: il navigatore stradale di Google maps, unica invenzione in grado di non fare ciò per cui è nata, ossia indicare in tempo le svolte da prendere.

La mia Peugeot 107 con un faro nuovo e l’altro ingiallito mi aspetta ansiosa di partire per questo nostro lungo viaggio di ben 7 km. Si, sette chilometri avete letto bene. Accendo i fari e parto, il cielo inizia a scurirsi e carico di nubi comincia a piangere (forse per la gioia di vedermi al volante). Il tergicristallo cigola mentre la voce del navigatore mi porta su una strada che proprio non mi aspettavo, dice che si tratta del percorso più veloce. Imboccando la tangenziale non comprendo di dover mantenere la destra, così mi ritrovo, ovviamente, nella corsia che non mi avrebbe portato a destinazione. Una colonna di auto comincia a formarsi mentre la voce mi dice che tra 300 metri dovrò svoltare a destra. Peccato che in quella direzione ci sia un guardrail. Piove ed abbasso il finestrino cercando di pulire lo specchietto con un fazzoletto perché non vedo praticamente nulla di ciò che accade dietro di me. Questa tecnica non funziona. Mi affido al divino e comincio a pregare che questa tangenziale abbia una più che prossima uscita, senza un fulmine il miracolo accade e riesco ad imboccare l’uscita. Percorro stradine di paese raggiungendo infine la destinazione in ritardo di sei minuti. Tempo totale di percorrenza: trenta minuti per sette chilometri. Non male come titolo per un libro. L’aquaplaning non mi fa più paura, ricordo solo a me stessa di non premere il freno mentre sono in mezzo all’acqua, così facendo raggiungo la salvezza.

La mia più grande fobia del momento, eh si perché la mia mente adora avere quelli che io chiamo “il dramma del momento”, era guidare su una strada sconosciuta con il buio e la pioggia.

Posso dire di averla superata, questa paura? Ovviamente no. Posso dire di averci provato? Ohhh si, e questo è già un grande traguardo per me.

Chiunque guidi con semplicità o piacere non può comprendermi, spero quindi di avergli almeno strappato una risata! A chi invece ha paura come me posso solo dire che…. Se ce l’ho fatta io può farcela chiunque!

Buona serata a tutti ♥️✨

Quei piccoli fuochi.

“Non credevo fossi quel tipo di persona che pensa così tanto!” Mi sono sentita dire un giorno. Avrei potuto rispondere che questo suo stupore mi offendeva, invece per l’ennesima volta mi sentivo soddisfatta per essere riuscita a celare una parte di me, come se nascondermi dal mondo fosse una cosa intelligente. Appurato il fatto che tra pensare e riflettere c’è un oceano di differenza, ho avuto modo in questi ultimi mesi di comprendere quanto sia allo stesso tempo sottile la linea che divide il pensare di essere all’essere davvero. Cosa intendo? Poniamoci una semplice domanda: “Io sono i miei pensieri?” Istintivamente verrebbe da dire “certo che lo sono! Cosa sarei altrimenti?”. Seguendo questa logica, come sarà capitato a tutti di pensare, vedendo un ciclista che pedala spensierato in mezzo alla carreggiata mentre guidiamo di fretta, il suggerimento mentale di investirlo per togliercelo di mezzo è balenato della mente di ognuno di noi almeno una volta nella vita. Siamo dunque tutti assassini per averlo pensato? Un banale esempio per dar conferma al fatto che noi siamo la coscienza dietro ad un pensiero, non il pensiero stesso. “Si però dai, se la dici così ricadi proprio nel banale, è ovvio che non facciamo tutto ciò che ci passa per la testa!”. “E per fortuna!” aggiungerei. Ciò che fa la differenza è sempre la consapevolezza. Eppure ci sono certi pensieri che scartiamo a priori, ed altri che proprio non riusciamo a lasciare perdere, anche se sappiamo che ascoltarli non porterà nulla di buono. Partendo dal presupposto che tutti sono pensieri e che di base non dovrebbero esserci differenze tra di essi, ce ne sono alcuni, quelli accompagnati dalle emozioni, che ci attirano come calamite più degli altri. Perché ciò accade? Perché siamo abituati ad identificarci con le nostre emozioni. Quando parliamo di noi stessi e di ciò che proviamo utilizziamo spesso il verbo Essere: sono arrabbiato, sono felice, sono triste. Ciò manda alla nostra mente il segnale di identificazione. Sarebbe più adatto utilizzare il verbo Sentirsi, così da creare il giusto spazio tra la nostra vera essenza e il nostro pensiero: mi sento arrabbiata, mi sento felice, mi sento triste. Questo verbo nasconde al suo interno la certezza che si tratti di una situazione passeggera. Riuscire a NON identificarsi con ciò che è esterno alla nostra vera natura è necessario per alleggerire la nostra sofferenza, per creare di stacco da ciò che non ci appartiene realmente e per riuscire a guardare una situazione nella quale ci sentiamo in trappola, con occhi diversi.

Quando mi sento sopraffatta dai miei pensieri, come se la mia mente fosse la centrifuga di una lavatrice che non intende fermarsi, immagino i miei pensieri come piccoli fuochi e mi ci metto di fronte ad ognuno. Nella mano destra un ventaglio e nella sinistra un orologio. Quando arriva un pensiero lo osservo e comprendo che solo io ho il POTERE di decidere l’importanza da dargli. Posso scegliere se agitare il ventaglio e fomentare la fiamma rendendola più grande e quindi più difficile da gestire, oppure se osservare il fuoco insieme all’orologio e vedere quanto tempo impiega prima di estinguersi. Accogliere ogni pensiero con curiosità e non ostilità è la chiave giusta per impedirgli di aggrapparsi a noi o di rimanere nella nostra mente come problema non risolto.

Quindi pensare è realmente segno di intelligenza o semplicemente è la reazione di una mente irrequieta ed abituata, col tempo, a ruminare costantemente?

Identificarsi con i propri pensieri e spesso con la paura che essi trasportano ci impedisce di scoprire chi siamo realmente.

Mi capita ancora spesso di avere paura, di credere ad essa e di farmi in tal modo influenzare limitandomi. Eppure mi rendo conto che tante di queste paure sarebbero facilmente superabili se solo non ci credessi così tanto. Un po’ come l’ansia che mi assale quando salto in auto. Il mondo è pieno di gente che guida ogni giorno, perché non dovrei essere in grado di farlo anche io?

Chi sono davvero, al di là della mia paura?

E voi, chi sareste senza paura?

Buona domenica a tutti 🙏🏻✨

[ps: Uscito ora il 16esimo capitolo di Antracite]

“Quel che resta” (Antracite pt2)

Quel che resta
di un cuore a terra
è una manciata di sorrisi
a chi incontra per strada.
Inerme,
mentre la vita gli scorre accanto
scalfito dalla pioggia
attende un battito.
Quel che resta
di un sogno
è nel portaoggetti dell’auto,
accanto ad una Brooklyn,
in uno sguardo fugace
ma eloquente.
Dove saranno ora
le cose mai dette,
torneranno mai,
per colmare il vuoto
che hanno lasciato?
Quel che resta
di un’anima fragile
è una poesia
in cui puoi leggerne
il silenzio
tra le righe.

Prologo tratto dalla seconda parte di “Antracite”. A breve verranno pubblicati i nuovi capitoli! #staytuned

Quello zaino pieno di sassi.

C’era una volta un uomo che, tutte le mattine, prima di uscire di casa riempiva il suo zaino con parecchi sassi. Scendeva di corsa le scale mentre si preparava ad affrontare il mondo nell’unico modo che conosceva. Egli infatti, con il peso della sua esistenza sulle spalle, cercava in ogni modo di liberarsi dei sassi porgendoli ad ogni essere umano che incontrava. Alcuni li accettavano mossi dal dispiacere, altri invece rifiutavano con poco garbo, c’era anche chi, offeso per il poco gradito dono glielo scagliava contro. Quando l’uomo, la sera, nel rientrare in casa dopo il lavoro saliva le scale, si sentiva le spalle un po’ più leggere ma allo stesso tempo il cuore molto più pesante, egli infatti non aveva capito che per liberarsi definitivamente dei sassi che il suo passato gli aveva donato avrebbe dovuto prima alleggerirsi il cuore.

Così facciamo noi. Non accettando le nostre vecchie ferite, ci ostiniamo a portare nel mondo il senso di rabbia e di rancore, pensiamo di liberarcene gettandolo nelle mani del primo che passa, invece però, al contrario, otteniamo altro rancore, e contribuiamo a rendere questo luogo di vita un posto peggiore in cui esistere. Solo osservandoci e prendendoci cura del nostro cuore potremmo una mattina svegliarci senza sentire il bisogno di caricarci uno zaino in spalle e soprattutto senza il desiderio di riempirlo di sassi per liberarci di questi ultimi. Forse è proprio questo il vero senso della vita, è imparare a lasciar andare le cose che ci pesano per uscire di casa più leggeri, così da poter accogliere ciò che di bello il mondo ha da offrirci.

Buona giornata 🙏🏻✨

Invisible is nothing

“I don’t know why people are so keen to put the details of their private life in public; they forget that invisibility is a superpower.”

Banksy

“Non so perché la gente sia così ansiosa di mettere in pubblico i dettagli della propria vita privata; dimentica che l’invisibilità è un superpotere.” L’artista di cui, ad oggi, non si conosce l’identità, Banksy, afferma questo. Per un istante ho creduto di essere d’accordo con lui, poi ho cominciato a scavare nel significato di questa parola, “invisibile”, e più andavo a fondo, più comprendevo quanto fosse grande l’errore di quest’uomo.

Chi dice di non aver mai desiderato, o anche solo immaginato, di poter avere il dono dell’invisibilità ( per lo meno da piccolo), mente. L’unica spiegazione plausibile per cui un essere sociale come l’uomo possa desiderare di essere invisibile è per poter ficcare il naso negli affari altrui liberamente e senza ripercussioni. Chi nega, mente! Forse un caso su un milione, tipo qualche madre, desidererebbe possedere questo dono per potersi ritagliare del tempo per se stessa, vero, ma di base dubito che qualcuno abbia mai desiderato di essere invisibile per non essere più considerato dagli altri. Anche Banksy, a mio parere, nasconde dietro questa sua affermazione il desiderio di essere visto, notato, acclamato. Essere alternativi va molto di moda ultimamente, e niente di meglio di un po’ di mistero accompagnato da una frase ad effetto può catturare l’attenzione della folla.

Io, caro artista, le tue cazzate non me le bevo. Ci sono innumerevoli persone al mondo che sono invisibili, ma non per scelta. Esseri umani che non hanno mezzi per essere nè ascoltati nè aiutati, io sono certa che loro non sono felici di avere questo superpotere. C’è anche chi ogni giorno ce la mette tutta per essere “qualcuno” sul posto di lavoro o nella vita di una persona a cui tiene, e nonostante tutto continua a non essere considerato senza mai ricevere spiegazioni. Essere invisibile non è un super potere, è sofferenza. Essere invisibile è la conseguenza dell’egoismo di chi non sa cosa si provi a pensare ad altri che non siano sè stessi. Essere invisibili è la condanna di chi vorrebbe urlare ma sa che non troverà orecchie che potranno sentire. Essere invisibili è silenzio.

Con questa breve riflessione sulla mancanza di empatia che esiste sul pianeta terra, annuncio il mio ritorno! D’altra parte, anche io sono stata invisibile in quest’ultimo periodo, un silenzio spiacevole ma necessario per ricordarmi il perché sono qui. Per ritrovare la mia strada e mostrarla a tutti!

Buon week end 🥰✨

₃₅ Geolocalizzazione mentale.

La paura, insieme all’amore, è una delle due “forze” che ci guidano nel percorso che stiamo affrontando su questo pianeta. Per non rischiare di commettere errori di valutazione di fronte ad un bivio, dobbiamo però comprendere cos’è la paura, da dove nasce e perchè, e quando soprattutto va ascoltata. Nel tempo ho attribuito varie ipotetiche definizioni ad essa, ma ad oggi, dopo averci ragionato a lungo, credo di poter condividere la definizione che reputo più veritiera, e spero che possiate confermare la mia teoria o confutarla con la vostra, dandovi magari uno spunto di riflessione.

La paura è un prodotto della mente, che nasce in seguito a stimoli esterni ed al modo in cui essa ha di interpretarli. Quando siamo di fronte ad un pericolo reale, la nostra mente si attiva e manda un segnale al corpo che si prepara per reagire, il battito cardiaco aumenta, i muscoli si contraggono e l’attenzione mentale si focalizza sul problema. Ma di questa tipologia di paura ne siamo tutti a conoscenza, io voglio definire l’altro tipo, quel tipo di paura che spesso si trasforma in ansia e che spesso limita la realizzazione dei nostri desideri.
La Paura “Surreale” è un prodotto della mente che si manifesta quando essa viaggia in un tempo mentale distante dal presente, spesso infatti pensando al futuro o ad un’azione futura di cui non si ha certezza, si prova questa emozione. “Geolocalizzarsi” sulla fascia spazio temporale in cui siamo può già essere una soluzione, c’è da specificare una cosa però, che la mente detesta vivere nel presente, cerca sempre in qualche modo di rivangare il passato con pensieri di ricordi o di ipotizzare (positivamente o negativamente) azioni future. Distaccarsi dai pensieri non inerenti al presente risulterà molto difficile all’inizio in quanto la mente opporrà resistenza. Che cosa intendo con ciò? Uso un esempio pratico per essere il più chiara possibile. “-sto lavando i piatti ed improvvisamente arriva un pensiero inerente alle vacanze che dovrei fare a settembre, immagino il mare ed il campeggio, immagino poi però che qualcosa vada storto durante il viaggio in auto, o ancor peggio che una mia collega al lavoro si senta male e che io non riesca a partire perchè devo sostituirla. Le mani lavano i piatti ma io sono completamente nella mia mente travolta da emozioni negative e dalla paura di non riuscire ad andare al mare, improvvisamente mi accorgo che è solo un pensiero, ma la mia mente mi racconta altre supposizioni ed io anche se provo a distrarmi fatico a non darle ascolto.” Questo è ciò che intendo con “opporre resistenza”. La mente in qualche modo ci fornirà informazioni ed emozioni interessanti a tal punto da distoglierci dall’attività che realmente stiamo svolgendo nel presente ed attirandoci dentro di sè. In quel momento non siamo più nel presente, bensì in uno spazio temporale diverso da quello in cui siamo in verità, stiamo perdendo il contatto con la realtà, stiamo vivendo emozioni surreali, non vere, ma che all’interno della nostra testa sembrano esserlo.
L’ansia e gli attacchi di panico nascono così, in questo “posto” surreale che ci portiamo sempre dentro e che tende a risucchiarci come un vortice.

Ma perchè alla mente non piace vivere nel presente? Semplicemente perchè quando siamo completamente assorti in un’attività nel presente, la escludiamo, la ignoriamo, ci dedichiamo ad altro che a lei, ed a lei (che ricordo essere anche conosciuta come EGO) questa cosa non piace. Fateci caso, quando vi dedicate ad un’azione che vi piace fare, alla fine vi sentite più rilassati, sapete perchè? Perchè in quel momento la mente ha smesso di mandarvi pensieri disturbanti, fare attività piacevoli infatti è una forma di meditazione.

Ricapitolando, la paura è un prodotto della mente che può essere reale o surreale, nel secondo caso ci apparirà comunque reale ma soffermandoci sulla verità ci renderemo conto che questa emozione sarà inerente a qualcosa vissuto in passato o inerente al futuro. La mente cercherà di catturarci con le sue supposizioni e ci “regalera” emozioni in merito. L’unico modo per sfuggire alla sua morsa è accorgersi di non essere nel presente. Come imparare ad accorgersene? Imparando la consapevolezza dei pensieri e delle emozioni (percorso abbastanza lungo) oppure tenendo al polso un orologio che vibra ogni dieci minuti e ci ricorda di fare tre respiri profondi accompagnati dalle domande “dove sono? Cosa sto facendo? Come mi sento?”.

Un bella seccatura gestire la paura vero? Consiglio a tutti di provare a farlo però, di vivere nel presente, vi renderete conto, dopo pochissimo tempo, di quante azioni positive riuscirete a fare e di quanti miglioramenti apporterete nella vostra vita.

Molti limiti esistono e mettono radici esclusivamente all’interno della nostra mente grazie all’aiuto della paura. Geolocalizziamoci e rendiamoci conto di cosa è reale e di cosa non lo è!

Buona giornata a tutti ✨✨

Senza spiegazioni.

Ogni tanto mi capita di sentirmi felice. E allora mi viene da chiedermi perché. Perché sono felice? È come se avessimo sempre bisogno di darci una spiegazione per tutto. Spiegazioni che spesso non arrivano comunque mai, quindi mi chiedo, non posso imparare ad essere felice semplicemente per il fatto di esserlo? Oggi è il mio giorno libero, cammino con le ciabatte nell’erba del campo appena tagliato, ho salutato da poco il contadino che con il suo trattore raduna il fieno in tanti mucchietti, c’è il sole ma non fa ancora così caldo. Non ho alcun motivo per sentirmi contenta ma allo stesso tempo non ne ho per essere triste, quindi accetto quello che provo in questo momento, lo osservo, si tratta di gioia.

A volte è bello essere felici senza spiegazioni.

₃₄ Impara a rifiorire.

Vivevo con la testa chissà dove, inciampando sui miei piedi e con nel petto un cuore che pesava come un sacchetto di sassi.
Fortunatamente però le cose accadono e per questo la vita cambia.

Un po’ come quando cresci e devi dire addio a quel paio di jeans in cui ormai non entri più, era arrivato il momento di abbandonare la mia vecchia pelle, quella corazza che ero stanca di vedere, lasciare andare quelle sensazioni di insoddisfazione personale che mi portavo ormai da troppo tempo appresso. Mi guardavo allo specchio e rivedevo ogni giorno sempre la stessa persona, anche se ormai dentro mi sentivo diversa. Non mi identificavo con il mio corpo, quel passaggio l’avevo già superato, però riflesse nello specchio ritrovavo le mie debolezze e con loro le insicurezze. Ciò che vedevo ormai non mi apparteneva più, sentivo il bisogno di cambiare l’esterno per trasmettere ciò che avevo trovato all’interno, così ho deciso di fare un tatuaggio.

Si tratta di un fiore, una Peonia per l’esattezza, che sboccia, circondato da foglioline e da fiori di pesco. Si trova al centro del torace, sullo sterno, e si protende verso entrambe le ascelle. Sdraiata sul lettino dello studio di tatuaggi fisso il soffitto sul quale è posizionata una lunga lampada al neon, in sottofondo una lenta canzone di Alessandro Mannarino ed il sottile rumore della macchinetta per il tatuaggio, sulla pelle quella strana e dolorosa sensazione dell’ago che imprime l’inchiostro in modo indelebile. “Ora cerca di non respirare, o se proprio fallo molto lentamente!” Mi dice Andrea, il tatuatore. “Sono vicino ai polmoni, se ti muovi faccio un pasticcio.” Ed il solo immaginare il panico di lui che combina un disastro mi scatena una risata, che però mi affretto a smorzare. L’entusiasmo e soprattutto la meditazione sul respiro sono stati essenziali per permettermi di concludere la seduta al termine della quale ero infreddolita e tremolante, mi hanno detto che capita spesso. La cosa più folle è stata la mia curiosità di voler provare un dolore diverso da quello già conosciuto. Se dovessi descriverlo, potrei raccontarlo dicendo che è simile al fastidio di un graffio di un gatto che con le sue unghie lacera la pelle abbastanza in profondità da farla bruciare, però per un tempo prolungato, come se ti graffiasse per due ore consecutive. Doloroso, ma sopportabile.
La cosa più intrigante dei tatuaggi è il loro significato, la mia Peonia ne ha uno tutto strano, che non ha niente a che vedere con la simbologia che di solito rappresenta.

La mia peonia sboccia dove prima c’era una pietra, un cuore convinto di non poter più essere se stesso per non essere ferito. Il mio fiore rappresenta una delicata rinascita, non teme infatti di mostrarsi per ciò che è, seppur fragile si permette di schiudersi e di lasciare intravedere il suo centro, la sua anima. Quando mi specchio ripenso a quanto inutile sia stato tenermi addosso una corazza che infondo non mi ha protetta, al contrario, mi ha solamente limitato. La mia Peonia mi ricorda di sbocciare ogni giorno, di sorridere alla vita, di non lasciarmi prendere dalla paura di essere sbagliata, mi dice di amare senza freni perchè infondo non abbiamo poi così tanto tempo come pensiamo, la osservo e mi ricorda che solo un ingrato coglierebbe un fiore per poi calpestarlo, che tutti esprimeranno sempre opinioni su di me ma infondo quella che dovrebbe contare per me è solo la mia.

Mi guardo allo specchio e mi vedo un po’ più me stessa, mi sento un po’ più con i piedi per terra ed il cuore leggero. Questa mattina c’erano un sacco di nuvole in cielo, erano grigie ma bellissime, sembrava mi salutassero, sono stata felice di accorgermene.

About to blossom

₃₃ Il papavero ignaro.

Il seme del papavero, trasportato dal vento, si posa tranquillo sulla terra del campo già seminato, per riposare dal lungo viaggio. Pochi giorni dopo, il suo fiore sboccia ravvivando di un colore rosso acceso il verde delle spighe non ancora pronte ad essere grano. Potrebbe restare solo per un giorno se qualcuno deciderà di coglierlo, oppure per un periodo più lungo, magari fino alla fine della sua esistenza. Se rimarrà, sarà il compagno di vita di qualche spiga a lui circostante, ravvivando il suo percorso. Baciati dal sole gioiranno del calore dei suoi raggi, e quando arriveranno le nuvole non le temeranno, danzeranno con il vento e muovendosi all’unisono non si sentiranno mai soli. Chissà se il grano ne sentirà la mancanza, del fiore rosso di papavero, quando lui se ne andrà pronto per una nuova esistenza.

E noi cosa siamo, se non semi di papavero che raggiungono altre vite mossi dal flusso della nostra vita stessa? Per uno strano caso del destino, non ci è dato sapere chi incontreremo, come il seme siamo quindi in balia del vento, possiamo però scegliere come arricchire la vita di chi, seppur casualmente, ci accoglie nella propria. Possiamo essere il colore che ravviva la giornata di chi incontriamo, anche se sarà solo per qualche minuto. Guardo il campo pieno di papaveri e capisco che in ognuno di noi c’è tanto potere, quello di poter cambiare un istante della vita altrui con un solo gesto, dobbiamo quindi cercare sempre di arricchire l’esistenza degli altri, senza dimenticare che, per quanto piccole, certe azioni possono rivelarsi indelebili.

Buon week end a tutti ✨

₃₂ Vacanze introspettive.

Prendono, partono e cercano ovunque, ma tornano sempre con le tasche vuote e la testa piena di domande.
Il fatto è che la maggior parte della gente cerca se stessa.
Ma non lo sa.

Rdb 2013

Recupero questo vecchio post ed incredula mi ci ritrovo, senza però comprendere come questa ragazza che già sapeva una verità così importante, possa aver permesso al mondo di lasciarla perdersi in esso.

Ormai è quasi estate e, si spera, si andrà in vacanza. La vacanza è sempre stata per me, e credo per tanti, quel momento di “pace” dove allontanarsi dal brutto della vita, dove fare cose diverse ed interessanti, dove rilassarsi. Si parte e non si sa perché si spera di tornare diversi, ma bastano solo pochi giorni per dimenticare ogni attimo lieto e ripiombare nella solita stressante, noiosa ed a volte deludente routine. Inconsciamente partiamo sperando che con la lontananza se ne vadano anche i nostri problemi, la questione però è che la maggior parte di essi esiste nella nostra testa ma noi non li vediamo. Sarebbe bello poter vivere tutta la vita con addosso la stessa sensazione che proviamo per quei sette giorni di svago, e credo che sarebbe abbastanza fattibile se riuscissimo a comprendere ogni volta ciò che ci turba al suo nascere.
Questa mattina passeggiavo sotto casa, tra le campagne baciate dal sole ed accarezzate dal vento, c’era un’arietta fresca ed il profumo di erba tagliata, non mi è servito essere altrove per trovare un attimo di pace, di assenza di pensiero. A volte mi capita di avere attacchi di ansia, in seguito anche a decisioni poco rilevanti, quindi me la porto appresso per tutta la giornata credendo di non riuscire a liberarmene mai più. Ho imparato ad osservare attentamente la sensazione stessa che mi provoca questa emozione, e poi a comprenderne i vari picchi, essa infatti in base ai pensieri che attraversano la mia mente oscilla aumentando o diminuendo l’intensità della sensazione, del battito cardiaco ed il numero di respiri. L’ansia deriva quindi da determinati pensieri che spesso sono difficili da identificare, la cosa che risulterebbe più semplice fare sarebbe distrarsi, ma ahimè non funziona, perchè questa emozione non accolta causa ripercussioni che non portano certo alla sua estinzione. Con l’ansia bisogna quindi agire per tentativi, osservare i pensieri e smontarli utilizzando l’auto rassicurazione oppure gestirli con un’azione che può permetterci di cambiare in qualche modo la situazione che ci causa questo malessere. Quando l’affrontare questa emozione si trasforma in procrastinazione diventa ancora più difficile riconoscere le vere cause che l’hanno fatta nascere e di conseguenza essa può trasformarsi in ansia cronica. In questo caso il percorso da intraprendere sarebbe impegnativo, può però essere utile imparare a riconoscere la tipologia di pensiero (positivo o negativo) che attraversa la nostra mente durante il giorno per abituare la nostra mente a non fare previsioni o drammi pessimistici.

Ma stavamo parlando di vacanze e siamo finiti con il pensare all’ansia, com’è possibile? Tutto ha un senso, o almeno per me, e quest’oggi invito tutti noi a riflettere sul perchè abbiamo bisogno di andare in vacanza, di pensare da quale aspetto della nostra vita vogliamo scappare e di provare a trovare una soluzione ad esso.

Detto questo, io spero di partire presto verso una qualsiasi località marittima, non devo evadere da nulla ma ho proprio bisogno di sentire il profumo del mare! Voi saprete già dove andrete? E soprattutto, che cosa vi porterete appresso dalla città?

Buona giornata a tutti ✨

Poesia vegetariana.

Ogni tanto dalla cucina del ristorante qui di fronte al negozio arriva un inconfondibile profumo di cotoletta alla milanese.

Immancabilmente mi viene fame.

Onestamente mi viene voglia di mangiarmela, me ne immagino pure il sapore.

Poi però mi ricordo perché sono vegetariana.

E lascio andare il pensiero.

[Perche mangiare vegetale? Vi lascio il link del mio articolo: https://escosenzaombrello.wordpress.com/2021/01/26/346/ ]

₃₁ Una settimana qualunque.



L’autostrada scorre sotto le ruote dell’auto mentre m’accorgo di una strana situazione nel cielo, alla mia destra. Una moltitudine di nubi sparse e di diversi colori sovrastano i campi circostanti, una di esse, quella al centro della fotografia, è così scura da gridare pioggia, mentre sul fondo sorridono altre nuvolette chiare che pare non abbiano intenzione di lasciarsi andare. Osservando il tutto da questa prospettiva sembra che nello stesso punto, nello stesso cielo, stiano accadendo differenti cose, come se queste nuvole avessero avuto un dialogo ed ora ognuna di esse trasporti la propria emozione. Allora mi ricordo di quel libro di Minfulness che descrive i pensieri come nuvole che trainano emozioni passeggere, che attraversano il cielo e poi se ne vanno così come sono venute. Questo cielo rappresenta esattamente lo stato mentale di questa “settimana qualunque”. Che coincidenza. Il mio spazio mentale non è mai completamente sereno, di certo passa sempre qualche nuvoletta bianca, che potrei descrivere come un momento felice o un ricordo. A volte passano nuvole grigio chiaro, quelle del passato, altre volte attraversano il cielo quelle color grigio scuro, con le difficoltà quotidiane, e poi capita talvolta che scoppi un temporale, e quando accade ormai ho capito che devo prendermela tutta, quell’acqua, altrimenti va a finire che la nuvola non si sfoga e magari ritorna più incazzata di prima.

Ho voluto scrivere ogni giorno di ciò che mi passava per la mente per ricordare a me stessa che tutto è passeggero. Della sensazione di leggerezza provata domenica scorsa mentre passeggiavo tra i capi non ne ho più vista l’ombra, ma nemmeno della tristezza di lunedì ne ho ricordo. Ho dimenticato la sensazione procuratami dal brutto sogno di martedì, la rassegnazione del fatto che alcune persone pungano come ortiche, ho scordato la paura di guidare che ho avuto giovedì, la simpatia del gatto che disturbava la mia lezione di yoga del venerdì, ho persino archiviato l’idea di sentirmi sbagliata di sabato, che poi era ieri. La parte più difficile di questo mio percorso è proprio ricordare questo: che tutto passa, tutto cambia, che io posso superarlo e che, a prescindere da ciò che accade, esiste sempre qualcosa di immutabile dentro di me, ossia la parte di me che osserva il cielo. Sono certa che creare spazio tra me stessa e la mia mente nuvolosa sia la chiave per trovare ciò che cerco e che spero di trovare alla fine del mio viaggio. Un passo dopo l’altro mi concedo il tempo di capire ogni giorno qualcosa in più su me stessa, per accettarmi o lavorare sugli aspetti del mio carattere che non mi piacciono.

Guardo il mio cielo adesso ed è abbastanza sereno, vedo qualche nuvola bianca qua e lá ed una nuvoletta grigia che però pare non sia intenzionata ad avvicinarsi, sembra che per oggi io non debba sopportare la pioggia, mi godo questo momento.

Sorprendentemente riesco a concludere questa rubrica “-una settimana qualunque”, allora forse un briciolo di costanza in me esiste! Ormai è quasi lunedì, ringrazio tutti voi che mi leggete ed approfitto per augurarvi una buona settimana!

Sabato.

Sono una persona rumorosa, di quelle che se le inviti a cena devi dargli il coprifuoco per gli schiamazzi. Se esco con gli amici devo per forza fare rumore, devo ridere, mettere musica, fare scherzi, raccontare chiassosamente aneddoti, devo disturbare quelli che tentano di intavolare un qualunque discorso serio, devo inventare attività di dubbia intelligenza, in breve: mi devo divertire. Si, perchè poi le nostre giornate sono piene di serietà, di lavoro fatto bene e di problemi che non fanno ridere, quindi quando si esce, per me, è d’obbligo fare rumore. Anche questa mattina, alla colazione pensata per festeggiare il compleanno della mia amica, ho dato il meglio di me. Dopo la colazione la padrona di casa (colei che compiva gli anni) cercava di preparare il pranzo per i due ospiti che avrebbe accolto più tardi, mentre io e la mia amica “di merende”, credendo di trasmettere una buona energia degna per un compleanno, ballavamo musiche spagnole, cantavamo canzoni dei cartoni animati e tormentoni degli anni 2000, cercando di coinvolgere la festeggiata in quell’atmosfera festosa. Abbiamo compreso che il tutto era stato un fiasco totale quando lei, la regina del compleanno e padrona della dimora in cui stavamo, ci ha intimato di smettere di fare baccano perchè probabilmente stavamo disturbando i vicini. La festa si è conclusa cosi, con noi due bastonate e con lei che infornava peperoni (evidentemente i peperoni in questo periodo vanno alla grande!). Non è stato il compleanno del secolo, si è capito, ma infondo per me conta solo che dalla festeggiata sia stato compreso il messaggio: quanto sia importante per me.

A volte mi capita di sentirmi sbagliata. Di sentirmi forse troppo fuori dalle righe e per questo mio modo di essere spesso esuberante credo di non riuscire ad essere compresa. Il mio spirito allegro e rumoroso viene spesso confuso con l’idiozia, si finisce sempre col credere che io sia una persona con cui non si possa fare un discorso serio. Per questo a volte mi capita di sentirmi sbagliata. Mi chiedo se sarebbe meglio, per il mio bene, essere più “normale”, poi però comprendo che forse se sono così un motivo c’è anche se non lo conosco, ma forse l’universo si, ed allora mi sento sbagliata, ma un po’ meno. Sono una persona che fa rumore, quando sta per arrivare, quando resta e quando se ne va, se non mi si sente è perchè qualcosa non funziona, dovrebbe essere abbastanza comprensibile, ma ormai ho smesso di darlo per scontato. Mi viene da ridere, ma a volte capita che le persone non si accorgano del mio silenzio, e quando ciò accade comprendo che forse infondo non apprezzavano nemmeno il mio rumore, e allora tolgo il disturbo.

Oggi rifletto su questo, sul fatto che siamo anime, ognuna con il proprio percorso personale, che si incontrano e condividono tratti di strada. Non possiamo sperare di essere comprese a fondo né di capire l’essenza delle altre, possiamo però pretendere di conoscere nel profondo noi stesse, perché è proprio quello il senso del viaggio.

Le cose stanno così, e perciò io continuerò a fare rumore, perché mi rendo conto di essere questo e che non mi serve sapere altro.

Buon sabato a tutti!

Io che a vent’anni fingo di prendere la scossa toccando una presa della corrente. Se può tranquillizzarvi, non ero sobria.

Venerdì

A Mario, il gatto dei miei genitori, non piace che venga praticato lo Yoga in salotto, nella sua nobile dimora. Ha scelto di aggredire fuoriosamente la mia coda di cavallo mentre ero a testa in giù. Non contento ha poi deciso di mordermi una mano, ma tutto sommato è un gatto affettuoso, ha passato tutta la notte in camera con me, controllando la situazione dall’alto del suo tiragraffi. Sono le otto di mattina e mia mamma sta già preparando i peperoni ripieni, eppure non ha origini del sud, inoltre mi ha già rivolto la parola parecchie volte anche se sa benissimo che la mattina non mi si deve parlare prima che sia passata almeno un’ora dal mio risveglio. Biscotti con nutella, thè caldo e profumo di aglio e prezzemolo, la colazione che tutti vorremmo avere ogni giorno.

Il mercato del paese è affollato, per di più piove, passeggiamo velocemente al suo interno alla ricerca di un po’ di normalità che questa pandemia ci ha tolto, ce ne andiamo subito però perché la mamma ha un appuntamento altrove. Siccome non posso entrare con lei a causa degli ingressi contingentati, la aspetto fuori, un uomo di cinquant’anni elegantemente vestito si dirige verso la porta d’ingresso e guardandomi mi dice “complimenti!”, ringrazio senza sorridere, non credo sia molto carino, da parte degli uomini, fare apprezzamenti gratuiti per la strada.

Ora proseguo la lettura de “Il taccuino della vergogna“ un libro tutto fuorché educato.

Buon Venerdì a tutti ✨

Giovedi sera.

L’autostrada infondo non è stata così pericolosa come appariva nel mio immaginario. Ma la paura fa sempre così, ti racconta bugie, disegna tutto in un modo così tremendamente difficile da immobilizzarti e farti fare un passo indietro. Immagino da sempre il mio rapporto con la paura come una porta che mossa dal vento si richiude. Quando la vedi muoversi ti prepari immaginandone già il rumore, lo sentì già nelle vene, ti viene quasi da socchiudere gli occhi o da tapparti le orecchie, poi però si chiude e quando accade ti rendi conto che non era niente di che, niente di rilevante. È così che descriverei la sensazione che precede un’azione limitata da questa emozione. Panico per nulla. Il viaggio in autostrada è stato piacevole e leggero, forse anche grazie alla colonna sonora che mi ha accompagnato: rigorosamente canzoni della Disney!

Dopo aver girato come una pazza impanicata senza sosta alla ricerca del parcheggio perfetto per il mio autobus immaginario, ho finalmente raggiunto, dopo dieci minuti a piedi perché ho calcolato male le distanze, la pasticceria nella quale ho ritrovato una cara collega con cui tempo fa ho condiviso tanti momenti divertenti. Un caffè ed una fiamma al cioccolato sono stati un toccasana dopo il “lungo viaggio”.

Dopo aver coccolato la piccolissima gattina che ha da poco adottato la mia dolce cugina, mi sono seduta a cena a tavola con di fronte una bella lasagna vegetariana preparata da mia mamma. È sempre piacevole trovare la cena pronta.

Quando supero le mie paure e gli scenari tragici che mi preannunciano, mi sento quasi come un supereroe. La vita improvvisamente diventa entusiasmante. Ora mi merito un bel gelato, Cornetto Sammontana per l’esattezza, come quello che mangiavo con la nonna.

A domani ✨

Giovedì

Quando so che devo guidare in autostrada mi viene sempre l’ansia. Il solo pensiero di immettermi in quella grossa carreggiata piena di camion e di idioti col Suv che sfrecciano a 160km orari in terza corsia crea nella mia mente malata surreali scenari apocalittici. La prima volta che ho trovato il coraggio di avvicinarmi ad un casello autostradale ho scelto l’unico in cui erano terminati i biglietti e così mi sono ritrovata di fronte una sbarra che non aveva la minima intenzione di alzarsi, la retromarcia era d’obbligo. In quell’istante l’universo deve aver provato pietà per me ed inspiegabilmente ha fatto si che non ci fosse nessun’auto dietro alla mia, in modo che potessi fare manovra in tranquillità, che poi calma non ero per niente. Per fortuna quel giorno non ero sola, con me c’era il mio cane a darmi coraggio, anche se non credo se ne sia reso conto! Quando prendo l’autostrada per andare a Brescia, e sono solo quaranta minuti di distanza da dove vivo io, mi sento sempre come se stessi per partire per un viaggio ultraterreno, quindi nel timore che accada qualcosa, entro nel panico. Che poi quando sono in strada fila tutto liscio, forse il problema resta sempre riuscire poi a parcheggiare una volta arrivata a destinazione, perché con il Duster (auto che saprebbe guidare anche un primate) io fatico a saper prendere le misure, quindi lo guido come se stessi conducendo un autobus. Sono la perfetta rappresentazione della donna incapace di guidare, non per niente prima di prendere la patente ho dovuto fare ventisette guide con l’istruttore, un record che credo potrebbe essere inserito in quel libro apposito. La mia paura non ha alcun senso perché infondo ho la certezza di essere concentrata ed abile nella guida, ma la mia mente non vuole saperne ed ogni volta mi racconta storie. D’altra parte le paure vanno superate ed io sono stanca di sentirmi limitata da esse. Quindi prendo la borsa con le mie cose per trascorrere due giorni di “vacanza”, prendo lo zaino, prendo le mie ansie e mi metto al volante. Prima però devo preparare il pranzo, anche se non ho fame, il pensiero del tragitto mi ha fatto chiudere lo stomaco.

Più tardi, se sopravvivrò (ma sono certa che accadrà: l’universo ha grandi piani per me, credo.) potrò raccontare qualcosa di più interessante e che possa farmi guadagnare “punti stima” perché so che con queste dichiarazioni dì incapacità ne ho di certo perso qualcuno!

Buon Giovedì a tutti ✨

Mercoledì

Ortiche. Quando ero piccola e giocavo in giardino, soprattutto in quello della scuola, ero talmente sbadata o forse non avevo ancora imparato a riconoscerle, che immancabilmente ci finivo dentro con le gambe, o con le mani, o talvolta le raccoglievo credendo fossero semplice erba, invece erano ortiche. Il fatto è che assomigliano molto anche ad un’altra pianta e io faccio sempre fatica a distinguerle. Passeggio rilassata sulla strada principale costeggiata dai campi e le vedo che mi guardano, vivono indisturbate nell’attesa che qualcuno erroneamente ci finisca dentro. A volte le ortiche mi ricordano tanto alcuni tipi persone, quelle che si mescolano bene tra la normalità della gente, ma poi quando ti avvicini senza troppa cautela ti pungono. E poi ti tocca portarti dietro questo fastidio per parecchio tempo. Ci sono le persone ortica e ci sono anche le persone gramigna, ma quella è un’altra storia.

Questa mattina c’è un po’ di sole ed il mio umore si è decisamente risollevato, essere meteoropatici spesso non aiuta! Ci sono due anatre che nuotano insieme qui nel fossato, un maschio ed una femmina, le vedo spesso insieme, devono essere innamorate. Ci sono anche due cani che abbaiano sempre, ma loro non sono innamorati, anzi credo detestino profondamente la loro padrona che li tiene rinchiusi nel serraglio.

Ora preparo la pizza, ma non quella che fanno le persone serie con la bilancia, la farina ed il lievito madre. Prendo la pasta già pronta e poi ci butto sopra la passata e l’origano.

Buon mercoledì a tutti. ✨

Martedì

“Ma quindi hai raccontato a qualcuno di me?” gli chiesi. “No, non avrei niente di bello da raccontare..” rispose, ed aveva ragione, per come si era comportato, al suo posto, nemmeno io avrei avuto il coraggio di raccontare. “Beh, pensavo che se un giorno ti capitasse qualcosa non verrei avvisata da nessuno, questa cosa non mi lascia tranquilla” spiegai, cercando una soluzione a quella brutta immagine che avevo nella testa, fortunatamente però ci aveva già pensato lui: “Ho lasciato delle lettere in un posto che conosce solo mia madre, nel caso mi succeda qualcosa, ce n’è una anche per te..” mi rispose. “Ah ok, suppongo che ci siano scritte tutte le cose che non mi hai detto, tutto ciò che pensi di me e che senza valido motivo hai scelto di non dire” avrei voluto rispondergli, invece dissi semplicemente un ”Ok questo mi tranquillizza!”. La conversazione si concluse più o meno così, e quella fu una delle ultime volte in cui lo sentii. Tutto ciò però fu di grande insegnamento per me, la sua stupidità intendo. Infatti lui aveva perso così tante occasioni con me, semplicemente per il fatto che non avesse mai imparato ad esprimere i propri pensieri, ad esternarli. Restava ogni giorno nel suo labirinto mentale convinto che in questo modo non sarebbe rimasto ferito, nel frattempo però, questa sua occlusione mentale feriva gli altri. Feriva me, e per questo mi perdeva. Oggi ho la certezza che stia bene in quanto non ho ancora ricevuto alcuna lettera, ma penso che se dovessi riceverla non la aprirei. Magari arriverà tra quarant’anni quando io di lui me ne sarò ormai dimenticata, quando le sue parole mai dette non avranno più alcun significato se non quello di riaprire voragini interiori per le quali l’unica cura sarebbe ulteriore tempo. A volte le persone che si comportano da stupide ci insegnano più di quelle che reputiamo sagge. Vivere una vita tenendosi tutto dentro per la paura di non essere guardati dal mondo per ciò che si è davvero, e poi morire, lasciando solo parole e zero fatti. Una vita che non farei mai.

Mi risveglio con questo che non capisco se è un sogno o un vago ricordo però contiene tanta verità ed allo stesso tempo tanta sofferenza. Nessuno dovrebbe voler essere, o sentirsi, invisibile.
Mi alzo dal letto e mi butto sotto la doccia per lavare via tutte queste sensazioni. Oggi è martedì, il cielo è nuvoloso, sistemo casa, leggo, pranzo e poi vado al lavoro.

Buona giornata a tutti 🥰

Lunedì sera

La mia previsione in merito al fatto che la prima cliente del giorno mi avrebbe chiesto un pigiama si è rivelata fallace. Per consolarmi arriva il corriere con qualche scatolone di merce, così nel sistemarla al meglio trascorre la mattinata. Quando arriva la collega con il solito caffè, quello che ti viene portato come si portano le arance ai detenuti (o così si dice) capisco che le mie sei ore consecutive di solitudine in detenzione sono finite. Prima di tornare a casa però devo scendere in “baia di carico” a buttare un quantitativo immane di scatoloni, c’è una puzza mortale in quel postaccio, però almeno il negozio sarà in ordine. Vengo fermata da una cara cliente che aspettava con ansia un costume da bagno del quale, però, ho già finito la taglia, non perdo l’occasione e gliene vendo un altro ma nel frattempo passano altri trenta minuti buoni, ormai sono quasi le quattro. Arrivo a casa ed Ivan prepara per entrambi una piadina, la farcitura è sensazionale per chi non mangia dalla sera prima: sottilette, e basta. Lui aspetta sempre me per pranzare, anche se poi alla fine si fa merenda. Oggi è il giorno prescelto per andare in lavanderia, mi sdraio sul divano guardando un episodio di “Catfish”, quel programma in cui due eroi smascherano idioti che si fingono altre persone sul web, mi faccio di quelle risate! Ma neppure Nev e Max riescono a risollevarmi il morale oggi. Mi alzo ed invogliata dall’allettante proposta di Ivan di andare a fare una passeggiata mentre i panni si lavano decido di uscire di casa. La lavanderia in cui andiamo è moderna ma ha poche lavatrici quindi ogni volta cominciamo a pregare che siano libere, un po’ come quando sei di fretta e speri che tutti i semafori siano verdi. Arriviamo ed ovviamente due sono occupate così ci dobbiamo fermare più del dovuto. La cosa bella dell’andare al lavaggio automatico però è che tutto si asciuga in pochissimo tempo ed io non devo più dormire con l’incombente presenza di quell’orrore di stendino che aveva fissa dimora in camera da letto, unica stanza con un po’ di posto libero date le piccole dimensioni dell’appartamento in cui viviamo. Sto leggendo “Il taccuino della vergogna”, un libro di una volgarità estrema ma scritto in maniera simpatica che mi è necessario per staccare dalle solite letture spirituali a cui mi dedico, quando il proprietario della lavanderia entra accompagnato da un fido assistente con il cappellino e si dirige nel retro del locale. Pochi minuti dopo decidono di rovinare del tutto la mia giornata mettendo alla prova i miei nervi con un insistente utilizzo di un trapano così rumoroso che ad un certo punto mi è parso che un dente mi si staccasse dalla mandibola per il fastidio. Ivan si diverte ad osservare le mie reazioni quando arrivano rumori molesti, quindi mi guarda e ride fomentando con osservazioni negative la già irritante situazione. La conseguenza è che mi innervosisco a tal punto da dover respirare profondamente immaginando di essere in un limbo senza anima viva. A questo punto, sarà anche per colpa del maltempo, la mia voglia di esistere oggi è pari a zero, forse la cena mi tirerà su di morale. Ah no, apro il frigorifero e ci trovo delle zucchine e del tofu, mentre li estraggo per farli a pezzi immagino di assaggiare un pollo alla brace ma poi ricordo il motivo per cui sono vegetariana e quindi scelgo di insaporire la mia cena senza morti con dell’aglio. Ivan è d’accordo, ha persino formulato una teoria di dubbia veridicità: se io mangio aglio e lui mangia aglio, in realtà l’aglio si annulla quindi nessuno dei due verrà infastidito dalla presenza agliosa dell’altro. Non so se si è capito ma, anche se fosse, dubito che comprenderlo possa cambiarvi la vita. Come da tradizione personale devo però trovare del positivo a questa giornata, per essere grata alla vita, quindi oggi ringrazio l’universo per avermi fatto trovare la forza di alzarmi dal letto anche se non ne avevo per niente voglia. E poi lo ringrazio per avermi donato il mio cane, che mentre scrivo tutto ciò mastica il nulla e digerisce l’aria senza pietà.

A domani, sempre che riesca ad essere costante nello scrivere questa rubrica intitolata “Una settimana qualunque”.

Tofu e zucchine.

Lunedì

La prima delle dieci sveglie che ieri sera ho impostato per non far tardi a lavoro suona. La regola è che contengano solo numeri con lo zero o con il cinque, sette e venti del mattino, posso concedermi ancora parecchi minuti a letto. Mi riaddormento, il secondo richiamo mi risveglia ma stamattina proprio non ce la faccio ad alzarmi. Chiudo gli occhi e per quei minuti, che nella mia mente si sono trasformati in ore, sogno di far tardi a lavoro e di ritrovare una titolare parecchio incazzata al mio arrivo, penso che potrei inventarmi una scusa ma il nostro rapporto è radicato sulla fiducia, quindi mi scuso vergognandomi come una ladra, lei però resta sulle sue. La terza sveglia suona e mossa dal senso di colpa apro gli occhi, prendo il telefono e inizio a scorrere la Home di Instagram, è l’unico modo che conosco per riattivare il criceto dormiente che abita nel mio cervello. “Sveglia amico è tempo di alzarsi e di cominciare a correre sulla ruota!”. La mia gatta continua a miagolare calpestando me ed Ivan senza il minimo ritegno, lui si sveglia e sbuffa accarezzandole la piccola testa che risulta sproporzionata rispetto al resto del corpo ormai sovrappeso. Due minuti di abbraccio posso concedermelo, quindi lo stringo e respiro profondamente, lui mi trasmette sempre un senso di pace, è il mio posto sicuro. Mi alzo subito, prima che mi passi del tutto la voglia di uscire di casa. Mi vesto e mi trucco ma solo perché ho riguardo nei confronti dei clienti che dovranno guardarmi in faccia questa mattina. Mi lavo bene la fronte per cercare di cancellare quel “vaffanculo” che ci vedo impresso. Le chiavi dell’auto spariscono sempre all’interno del mio zaino che contiene di tutto tranne le cose utili, come i fazzoletti che in questo periodo di allergie primaverili dovrebbero essere sempre a portata di mano. Mentre le cerco furiosamente ritrovo anche quel paio di occhiali che non vedevo da un mese, comprati e mai messi. Saluto e coccolo qualche istante il mio cane che mi guarda con i suoi occhietti piccoli e assonnati, non fa nemmeno lo sforzo di alzarsi per accompagnarmi alla porta, è proprio un pelandrone! Salgo in auto e litigo con il cambio, come al solito non riesco ad inserire la retromarcia, questa Peugeot 107 è proprio un rottame, premo l’acceleratore con cautela perché non posso permettermi di finire nel fossato che costeggia il parcheggio. Dopo cinque minuti sono già al centro commerciale, per fortuna abbiamo trovato casa qui vicino. Salgo le scale velocemente per poi alzare la serranda, accendere tutte le luci e riabbassarmela alle spalle. Un caffè al bar è d’obbligo! Questa mattina prendo un Ginsegn grande, perché è lunedì ed ho bisogno di qualcosa di diverso, nel berlo però la voglia di lavorare non arriva. Oggi devo sistemare parecchi cassetti di abbigliamento, prima però è meglio mettere a posto i pensieri, perché a differenza di ieri, quest’oggi la mia mente non è tranquilla. Respiro, osservo, e ripiego in attesa che arrivi il primo cliente. Come ogni giorno ipotizzo quale sarà la prima richiesta che riceverò, oggi scommetto che entrerà una signora a chiedermi un pigiama per l’ospedale, alcune vengono a prenderne uno da tenere da parte per le situazioni di emergenza. Non conosco modo migliore per tirarsi addosso la sfiga.

Buon lunedì a tutti 🥰

Questo piego non è perfetto. Lo rifarò.

Domenica.

Il profumo dell’erba che il contadino ha appena tagliato per far respirare la terra accanto al fossato e lo scroscio dell’acqua fresca che scorre verso il campo appena seminato, per dissetarlo.

L’aria ormai calda mi sfiora i capelli consolandomi, l’inverno è finito, me lo confermano anche le spighe di grano ancora verdi, da poco hanno conosciuto la vita e con lei ballano fluttuando in una danza guidata dal vento.

Raccolgo dei piccoli fiori viola dal gambo lungo, non ne avevo mai visti di simili, il sole mi scalda ed il mio cuore se ne accorge, era un po’ che voleva sentirsi leggero. Nel cielo azzurro cerco tra le nuvole e ci trovo la pace.

Cammino lenta, questo è l’unico caso in cui per non perdere qualcosa non devo correre. Un passo e poi l’altro passeggio nella quiete di questa campagna che fino ad oggi non m’era mai sembrata così amichevole. Non corro e per questo non perdo me stessa.

In questo istante mi ritrovo, e respiro.

₃₀ Barbie

Un pomeriggio una signora entra in negozio con una bambina, sua nipote per l’esattezza. L’argomento della chiacchierata erano i ragazzi, mi piace infatti scambiare due parole con le mie clienti mentre si pazienta di entrare in camerino. La bimba, che avrà avuto più o meno dieci anni, racconta che aveva un fidanzato, il suo compagno di classe, ma che ora non ce l’ha più, io le sorrido pensando a quanto fosse tenera, la nonna invece (-una donna con pochi peli sulla lingua) le risponde “Beh, anche Barbie adesso non ha più un fidanzato! Ken l’ha lasciata…” e bisbigliando rivolgendosi solo a me aggiunge “..forse perchè non era abbastanza bella…. per lui!”. Inizialmente rimango interdetta, poi senza pensarci troppo le rispondo “Oppure l’ha lasciata perchè è un coglione!”. Fortunatamente la bimba pare non essersi accorta di questo breve scambio di opinioni, a differenza della mia titolare (e cara amica) che non ha perso tempo, una volta salutata la cliente, nel farmi notare quanto io sia femminista. Non ci avevo mai fatto caso, ma in effetti è un’etichetta che mi fa sentire bene. Premetto, io adoro gli uomini, sono cresciuta andando a spasso con i miei zii, con mio fratello e con i tantissimi ragazzi con cui ci incontravamo nel cortile, della mia classe ero l’unica ragazza a saper usare lo skateboard solo per il semplice fatto che uscivo praticamente con solo maschi. Io gli uomini li adoro, li trovo divertenti, diretti, altruisti, spesso li preferisco alle donne (-soprattutto dopo varie esperienze di invidia in campo lavorativo) però ecco, allo stesso tempo li vedo anche autonomi e forti, cosa che non potrei dire di tante donne che conosco, emotive, fragili, dolci, che proprio per questo vengono spesso sottovalutate e non valorizzate o non apprezzate dai loro fidanzati e per questo ritengono loro stesse “insignificanti” o “per nulla speciali”. Quindi si, per mia natura mi schiero dalla parte delle donne, perchè nonostante possa sembrarmi assurdo dirlo, soprattutto in questo periodo dove si parla sempre più di pari opportunità, essere donna è difficile. Essere donna è difficile perchè se qualcuno ci ruba dalle mani la borsetta non abbiamo la forza di dargli un pugno in faccia per stenderlo, è complicato persino inseguirlo un ladro, con i tacchi soprattutto, perchè quando vogliamo essere belle dobbiamo indossarli, per la femminilità, perchè senza tacchi il nostro corpo non ondeggia abbastanza. Quindi se vogliamo fare un giro in centro nella speranza di incontrare qualcuno di interessante dobbiamo sempre scegliere se essere perfettamente sistemate e quindi femminili rischiando di essere aggredite per questo, oppure se uscire con scarpe comode e non attirare l’attenzione di nessuno. D’altra parte viviamo in Italia, patria della moda, se vogliamo essere qualcuno dobbiamo per forza usare l’apparenza. Barbie su questo argomento ne sa parecchio, è così che ha conquistato il suo Ken.
Che ne sanno gli uomini delle ore passate a prepararsi prima di un appuntamento? Prima la scelta dell’abito, il completo intimo carino da mettere sotto, poi l’estetista, poi i capelli sistemati a dovere, il trucco, la borsa e le scarpe abbinate, tutto per non deludere le aspettative estetiche del nostro accompagnatore, e poi beh, paranoie sul proprio carattere: “Sarò abbastanza simpatica? Forse è meglio che mentre mi preparo mi riguardo tutta la prima stagione di “Super Quark” così sembrerò intelligente, nel frattempo però provo ad infornare il polpettone che mi ha insegnato a fare Nonna Pinuccia, perchè gli uomini vanno presi “-per la gola”, mi spruzzo comunque parecchio profumo perchè nella pubblicità dicono che il profumo rende una donna sensuale, ed infine dopo essermi specchiata settanta volte esco di casa nel panico più totale ripassando i nomi delle capitali d’Europa, è un uomo che viaggia, non posso permettermi di fare certi scivoloni geografici!”. Gli uomini lo sanno che dietro ad una donna che si presenta così ad un appuntamento romantico si nasconde tutta questa insicurezza? Dubito.
Essere donne è difficile perchè ogni giorno dobbiamo lottare contro gli stessi stereotipi: la donna incapace a guidare, la donna che non sa aggiustare un rubinetto che perde, la donna che se compra un mobile all’IKEA impiega dieci giorni a montarlo e poi due ore dopo cade a pezzi, la donna che si occupa della casa, lavatrice, lavastoviglie, pulizie, animali, figli, genitori, la donna che non mette mai al primo posto il lavoro perchè prima viene la famiglia, la donna che vuole avere dei figli, la donna che piange guardando film romantici, che non sa aprire il barattolo dei sottaceti, che passa metà giornata al telefono con le amiche, la donna che fa shopping con la carta di credito del marito… potrei andare avanti per ore. Essere donna è difficile perchè significa combattere ogni giorno con lo stupore negli occhi di chi ci vede parcheggiare al primo colpo, cambiare una lampadina senza prendere la scossa, lavorare dieci ore al giorno e tornare a casa e non aver voglia di sistemarla, guardare un neonato e dire “non mi piacciono i bambini”. Questo stupore, posso dirlo, mi offende. Essere donna è difficile perchè non puoi esprimere te stessa con dell’abbigliamento stravagante perchè a quanto pare poi fornisci un alibi a qualche stupratore. Essere donna ti accolla un sacco di aspettative e di etichette fin dalla nascita, e nel profondo temi di deludere qualcuno se non le rispetti, temi di perdere il tuo essere donna, le tue possibilità di essere qualcuno nella società.
Inconsciamente la mia cliente stava proprio dicendo questo. Barbie è stata lasciata perchè non era abbastanza, perchè in qualche modo non ha saputo essere donna come Ken si aspettava, perchè non impiegava più cinque ore a prepararsi per uscire con lui ma si sistemava in quaranta minuti, perchè andava al lavoro anche il sabato, perchè non se la sentiva di avere figli. Forse la signora non ha amato abbastanza se stessa nella sua vita e quindi ha pensato che anche Barbie fosse come lei, che fosse colpa sua se l’uomo con cui stava l’aveva lasciata per un’altra. Non lo sapremo mai.
Una cosa è certa però, e lo dico da femminista convinta, che Barbie sta benissimo senza Ken che non le dà valore, e che noi donne (ad esclusione delle stronze), nascoste nella nostra fragilità emotiva, abbiamo più palle di tanti uomini.

Ripenso a tutte le figure maschili che ho nella mia vita ed affermo che certi uomini, nascosto tra la peluria e la corazza che si costruiscono per fare i duri, hanno un grande cuore, e che è solo grazie a loro che ho imparato a guardare il mondo con occhi diversi da quelli della mia cliente, con occhi che mi fanno sentire bella e intelligente anche senza essere perfetta.

Chi ti AMA ti valorizza anche se non rispetti i soliti standard, chi NON TI AMA cerca sempre di sminuirti anche quando sei perfetta in tutto.

Un abbraccio a tutte le donne ed a tutti gli uomini che mettono il cuore prima di tutto il resto ❤️ Ah… ed una pacca sulla spalla a Ken, che infondo già lo sa che non troverà mai più nessuna come Barbie.

₂₉ Relazione complicata

Ho un rapporto complicato con le mie emozioni. Non che sia una novità, ce l’ho sempre avuta una relazione difficile con loro, soprattutto con la rabbia, ma a questo punto del mio percorso introspettivo, ripensando agli obiettivi per ogni tappa, pensavo che ne sarei venuta a capo. Comincio dall’inizio, da quel giorno in cui una voce interiore mi dice “Hey ma ti sei accorta che il tuo umore cambia continuamente e che butti tutto questo senza ritegno nel mondo? Chi ti incontra per due volte in un giorno, in momenti diversi, scommetto che resta confuso. Prima sei la persona più solare del pianeta, e poi qualche ora dopo una pazza nevrotica che strappa pagine di libri per sfogare la rabbia repressa. Qualcosa non va.” E non posso dare torto a quella voce. C’è un problema, è necessario trovare una soluzione! Per fortuna il “Problem solving” è da sempre una mia attitudine, quindi rimbocchiamoci (io e la parte razionale di me) le maniche!
Una persona sveglia sarebbe andata direttamente dallo psicologo, ma a me piace complicarmi la vita e praticare la regola del “Arrangiati da solo”, quindi dopo vari tentativi falliti scopro la via della Mindfulness, che insegna a prestare attenzione a ciò che ci accade interiormente e descrive i pensieri e le emozioni come nuvole passeggiare che solcano il cielo della nostra mente. Ok, quindi devo solo accorgermi dell’emozione che sto provando ed il gioco è fatto! “Come mi sento in questo momento?” è la domanda che a partire da quel giorno comincio a pormi svariate volte, ed effettivamente trovo risposta, talvolta sto bene, spesso sto male (triste o arrabbiata), e quando ciò accade rendermene conto peggiora solo le cose. Non voglio essere triste o arrabbiata, queste emozioni non mi piacciono, non le voglio, non mi appartengono! E così passo alla seconda fase del mio percorso: “Rifiutare delle emozioni”. Le detesto proprio, ormai appena arriva un’emozione mi arrabbio solo perchè la sento salire e non riesco a fermarla. Scopro che spesso esse sono il prodotto di un determinato pensiero, ed appena riesco ad averne conferma mi rendo conto che il gioco si fa sempre più complicato. Ora non devo più semplicemente domandarmi “Come mi sento?” ma anche essere abbastanza presente da accorgermi di “Quale pensiero sta attraversando la mia mente?”. Un lavoro di attenzione sfiancante, non credo di essere mai andata a dormire presto come in questo periodo. I giorni passano, seppur lentamente imparo a riconoscere l’insorgere di pensieri mentre sono dedita ad altre attività non inerenti ad essi, ad osservarli ed a riportare l’attenzione sulla cosa di cui mi sto occupando prima che essi mandino un segnale al mio cervello il quale lascerebbe scaturire un’emozione. Ciò nonostante continuo a non sentirmi bene, ora detesto anche avere pensieri, alcuni sono innocui e sopportabili, altri veramente pesanti (soprattutto quelli relativi al passato), ma non si fermano, come un pentolone che ribolle continuano a riaffiorare, li osservo, se sono particolarmente concentrata li lascio andare via senza fomentarli, se non lo sono li ascolto e così facendo precipito nel baratro della “ruminazione mentale”. Ad un tratto comprendo che questo metodo non è corretto. Proseguo le mie indagini e scopro che le emozioni sono come parassiti che, se represse e non sfogate (attività fisica o pianto) si annidano dentro di noi, ci irrigidiscono i muscoli, ci appesantiscono e ci rallentano da dentro. Lo yoga sembra perfetto per rilasciare blocchi emotivi, e con piacere scopro che è vero, però fin da subito ne subisco il contraccolpo, infatti proseguendo su questa via mi sento sempre più leggera ma allo stesso tempo più fragile, la mente mi propone molti più pensieri relativi al passato, sento le emozioni in modo più forte, ho più consapevolezza del mio respiro e di quello che mi circonda, ma tutto ciò non mi fa sentire vicina al raggiungimento del mio obiettivo, stare bene. Qualche tempo dopo comincio a capire il significato delle parole “Accettazione”, “Stare con quello che c’è” e “Lasciar andare”.

“Accettare” significa prendere atto di un pensiero o di un emozione senza giudicarli (giudicarli aggraverebbe la situazione in quanto scatenerebbe un dialogo interiore inerente ad essi). “Stare con quello che c’è” è sempre molto difficile perché per nostra natura tendiamo a sfuggire da ciò che non ci piace, eppure è necessario fermarsi, osservare ciò che accade dentro di noi, “geolocalizzare” l’emozione all’interno del nostro corpo, ed aspettare che faccia il suo corso. Un po’ come quando ti sloghi la caviglia e resti zoppo per qualche giorno, fa male, sai che non puoi saltarci sopra, sai che non guarirà semplicemente sperando che accada, e quindi lo accetti e cerchi di andare avanti con la tua vita nella certezza che prima o poi il dolore passerà. Per le emozioni negative è lo stesso, l’unica differenza è che quando le viviamo sembra sempre che siano eterne, come un baratro senza fondo.
”Lasciar andare” è la cosa più complicata perché per attuarla è necessario un grandissimo impegno mentale. Arrendersi di fronte ad un sogno nel cassetto è difficile per tutti, ma ci sono momenti in cui è obbligatorio farlo, per poter andare avanti, per rinnovare la nostra vita, per crescere. Lasciare andare implica sofferenza, e siccome non vogliamo soffrire, procrastiniamo il momento di abbandonare una sfida, perpetuando però inconsciamente il dolore.

A questo punto del mio percorso la relazione complicata con le mie emozioni pare aver preso una piega diversa, più positiva, seppur non ancora tranquilla. In questi giorni mi sento meno fragile, più vigile, ed i soliti pensieri non mi fanno più così paura, le emozioni invece le sento pesantemente addosso, tanto da saper esattamente dove si trovano, ieri mattina, per esempio, avevo un forte dolore allo sterno, che è poi passato verso sera, dopo un pomeriggio passato al lavoro. In mattinata, oggi, percepivo pesantezza sulle spalle, ma ora è passata dopo un bel giretto in bicicletta. Ho sentito le emozioni ed anche i pensieri, ma è come se pesassero un po’ meno sulla mia vita, forse sto imparando davvero ad accettarli, forse sono un passettino più vicino alla felicità.

Buon week end a tutti, e che sia pieno di… pace interiore 🙏🏻✨

₂₈ L’Universo ti ascolta.

L’universo ti ascolta. La prima volta che ho sentito questa frase mi sono messa a ridere. Figuriamoci se una realtà indefinibilmente immensa si mette ad ascoltare me, i mie pensieri ed i miei desideri. Cosa sono io di fronte alla vastità della galassia? Eppure, fermandomi ad osservare il fluire della mia vita, mi rendo conto che effettivamente non posso nemmeno smentire questa teoria, infatti ogni cosa che ho desiderato ed in cui ho creduto nel profondo, si è manifestata. A volte accadeva che sognassi una cosa, e che in poco tempo trovassi il modo per realizzarla, altre volte invece sembrava proprio non fosse cosa adatta a me, ma portando tanta pazienza si realizzava comunque. L’universo ti ascolta ma ha un metodo tutto suo di farlo, anzitutto, a quanto ho capito, non legge i “NO”, ciò significa che interpreta ogni pensiero (positivo o negativo) in egual modo, è quindi necessario imparare a pensare in maniera costruttiva e producente, immaginando le situazioni esattamente come vorremmo che fossero, e non per ciò che non desideriamo accada. Comunicare con l’Universo può essere vista come una cosa assurda, ma se prendiamo la teoria per quello che è, senza giudizio, ci rendiamo subito conto che è in sè la soluzione a tanti brutti momenti che passiamo nella quotidianità, quando, non accorgendoci dei nostri pensieri, proviamo e trasmettiamo negatività. Esiste inoltre un altro concetto da tener bene a mente per poter vivere serenamente: “La legge degli Opposti”. Il principio su cui si basa è uno ed è breve: nel momento stesso in cui decidi qualcosa, tutto il contrario si materializzerà, ciò accade per permetterti di sperimentare ciò che vorresti esprimere, l’Universo quindi genera un Campo Contestuale all’interno del quale puoi realizzare il tuo desiderio. Forse spiegata così è un po’ complessa, lo riformulo con parole più semplici. Nel momento in cui tu avrai un desiderio, l’Universo ti fornirà un ostacolo da scavalcare, per avere la conferma che tu sia realmente convinto di percorrere quella strada. Quando crediamo davvero in qualcosa siamo disposti a tutto, e gli ostacoli non sono altro che stimoli, cha accrescono la convinzione di essere sul percorso corretto. Mi piace vedere la vita sotto l’influenza di questo breve ma intenso concetto. Da un lato perchè il semplice crederci influenza il mio modo di pensare, sempre più in maniera positiva, dall’altro lato perchè risponde alla domanda “Perchè è sempre tutto così difficile?”, quesito che tutti ci poniamo costantemente e che ci tormenta solo per il fatto di non trovarne risposta.


L’universo ci ascolta, perchè di base, noi siamo esso stesso, ognuno di noi è una piccola grande parte che contribuisce al suo funzionamento ed al suo semplice esistere. Per farci ascoltare però, dobbiamo prima imparare ad ascoltarlo, rispettando gli altri esseri viventi, gioendo dei doni che ogni giorno ci regala, come l’aria che respiriamo, l’acqua, il sole senza il quale non vivremmo a lungo, le piante, gli animali e le tante anime che risiedono nel corpo dei nostri simili. Quanto prima impareremo ad ascoltare e ad apprezzare ciò che ci circonda, tanto presto anche l’Universo troverà lo spazio per comunicare con noi, per sentire i nostri veri desideri al di là del chiacchiericcio della nostra mente parlante.

“«I sentimenti sono il linguaggio dell’Anima». Usa questo linguaggio per comunicare all’Universo ciò che vorresti sperimentare. Se c’è davvero un risultato specifico che desideri intensamente vedere materializzato, abbina alle tue parole i sentimenti. Immagina quel dato risultato, raffiguratelo nella mente, poi cerca di sentirti esattamente come ti sentiresti se ciò che stai immaginando accadesse.”

Neale Donald Walsch

₂₇ Annaspo dentro me

Annaspo in attesa di raggiungere il salvagente. Me ne rendo conto, di non saper più nuotare liberamente tra i miei pensieri, e di sentirmi sempre sopraffatta da essi. Mi immagino, la mattina, di svegliarmi e ritrovarmi sulla riva di un lago verde, sotterraneo, in una grotta nascosta tra le profondità del mio essere, e di guardarlo, di osservare la tranquillità delle sue acque immobili. Non mi fa mai paura, la mattina, quando mi sveglio, mi viene voglia di immergerci dapprima i piedi e poi di lasciarmi avvolgere dalla freschezza della pace che mi trasmette. Quando mi ci tuffo, tra i miei pensieri, penso sempre di avere il controllo della situazione, mi immagino di sguazzarci senza paura, nella certezza che siano un luogo profondo e sicuro, ma poi arriva un pensiero sbagliato, improvviso, che mi si aggrappa addosso e mi tira a fondo, me ne accorgo sempre troppo tardi, quando ormai ci sto lottando contro, nel momento in cui non posso far altro che cominciare ad annaspare. Forse non è proprio un pensiero, è più una sensazione, un peso che si forma nel petto e mi fa sprofondare, e più pesa più mi accorgo che è un po’ assurdo perchè di fatto, mi fa sentire vuota. L’idea che, infondo, io abbia bisogno di qualcosa, che io non sia padrona di me stessa e del mio lago delle emozioni, l’idea che io abbia necessità di qualcosa di esterno, che mi salvi, che mi tenga a galla, che dia un senso ed uno scopo alla mia vita, questa idea è quel macigno che mi annienta e mi fa affogare. Ho nuotato immergendomi nella meraviglia dei miei sogni e dei pensieri sulla bellezza della mia vita, per anni, finchè un giorno qualcosa è cambiato e senza accorgermene ho perso la capacità di sentirmi a mio agio dentro me stessa. Il contatto con la solitudine del lago ha cominciato a farmi paura, sprofondare nelle sue acque calme, dove prima trovavo pace, mi faceva sentire ansiosa, e seppur mi sforzassi di farlo, perchè infondo tutti noi dobbiamo immergerci in noi stessi per ritrovarci, avevo sempre la certezza che non sarei più stata in grado di galleggiare senza quel salvagente.
Da dove arriva questo senso di vuoto, quando è nato, è reale? Come si riempie un vuoto? Posso metterci della marmellata, oppure riempirlo di tante emozioni, ma sarebbe solo un confermare di avere qualcosa da farcire.
Sono nata completa, e senza alcun tipo di vuoto, ne ho la certezza, quindi forse ho cominciato a credere di non saper più nuotare quando qualcuno m’ha gettato un salvagente, ho forse creduto di averne bisogno anche se già sapevo di essere in grado di viverne senza.
Oggi mi rendo conto di aver passato anni a credere di aver bisogno di qualcosa, quando invece non avevo bisogno di nulla che non fosse già dentro di me. Lo comprendo quando respiro tranquilla, quando non faccio qualcosa sperando di poter ottenere felicità, quando vivo senza chiedermi perchè e proprio per questo provo gioia.

In questo mio viaggio, di cui da tempo vi parlo, ho avuto tante conferme, ma questa, oggi, vale più di tutte. Nuoto nel mio lago verde dei pensieri con addosso un salvagente, perchè credo di non potercela fare da sola, perchè credo di aver bisogno di questa cosa per poter stare a galla nella vita. Ma già raccontandolo comprendo che è tutta una grande follia, perchè sono nata senza salvagente, e che l’unica cosa che mi manca per ritornare ad essere davvero me stessa è il coraggio di togliermelo.

A volte la vita ci fa credere di non essere all’altezza, di persone, di cose, di sentimenti, e dandole retta annaspiamo cercando un appiglio che ci dia la forza per rimanere a galla, convinti ormai di non avere altra alternativa che accettare di essere incompleti. Ma è tutta una grande bugia. Non abbiamo bisogno di altro se non di noi stessi e se le cose in cui speriamo non accadono è semplicemente perchè meritiamo di meglio. Dovremmo solo essere un po’ più pazienti.

Mi resta un solo dubbio..
Quanto tempo ci vuole per reimparare a nuotare quando si crede di essersene dimenticati?

𝑨𝒏𝒕𝒓𝒂𝒄𝒊𝒕𝒆

Ci guardammo negli occhi.

In quell’istante mi risultò impossibile non porgergli il mio cuore.

Tra le mie mani era duro e scuro, come antracite, come carbone rimasto nascosto per un tempo indefinito.

Lui, sfiorandomi delicatamente, lo prese e lo accarezzó. “Le cose cambiano”, mi disse, accorgendosi che al tocco delle sue dita cominciava a sbriciolarsi.

“Le cose non vanno sempre come dovrebbero andare” risposi, rubandoglielo dalle mani, in un bagliore di lucidità.

Ma fu comunque troppo tardi. Il mio cuore aveva cominciato ad ardere, acceso dalla scintilla che vidi nei suoi occhi. Sapevo da sempre che un giorno me ne sarei dovuta andare eppure avevo deciso di illudermi di poter restare.

Guardai ciò che stringevo tra le mani e capii che non ci sarebbe stata altra fine, per me, se non quella di permettere al tempo di ridurre la mia anima in cenere.


… Rebecca sembra una ragazza qualunque, eppure, l’apparenza inganna….

Capitolo uno: Guardami negli occhi.

Era a destra o a sinistra? In questo quartiere le vie sembrano tutte identiche. Svolto a destra, casa gialla, casa con i cerbiatti finti in giardino, casa di pietra, casa rossa con il portone di legno scuro, ho svoltato ancora nella direzione sbagliata. (continua a leggere)

Capitolo due: Guardati le spalle 

”Ed ho cercato di dimenticare, di non guardare… “. Vasco Rossi fa da colonna sonora al mio arrivo al locale, svolto a sinistra e parcheggio nel retro al solito posto, vicino al cassone dell’indifferenziato. Apro la portiera e scendo. (continua a leggere)

Capitolo tre: Seminare sulle rocce.

Andy mi ha chiesto di accompagnarlo ad una mostra d’arte di un pittore che sta spopolando tra i ricchi viziati del settore finanziario. Lui è stato assunto dalla più prestigiosa banca di Los Angeles come consulente ed in quell’ambiente è riuscito (continua a leggere)

Capitolo quattro: Valigetta in pelle.

Sistemo le tazze nella lavastoviglie mente Brendon, gentilmente, mi legge gli articoli più salienti del giornale di oggi. Che uomo fantastico, pare uscito da un film degli anni cinquanta, sempre elegante, con il suo basco chiaro in testa ed i suoi completi rigorosamente dai toni caldi. (continua a leggere)

Capitolo cinque: Musica a tutto volume.

Mentre parcheggio l’auto di fronte al portone d’ingresso del condominio in cui vivo stando attenta a non coprire del tutto le strisce pedonali che ho di fronte, sento le mie vicine spettegolare, da un balcone all’altro, ancora sullo stesso argomento di cui hanno parlato per più di un’intera settimana… (continua a leggere)


Nel menù, nella sezione 𝐴𝑛𝑡𝑟𝑎𝑐𝑖𝑡𝑒, trovate tutti i capitoli completi, per il momento ne sono presenti diciotto, gli altri sono “work in progress”..

Spero che questo mio racconto vi piaccia e vi ringrazio per aver dedicato del tempo a questa lettura. 😊

₂₆ Tra paura ed ignoranza

Quando ho visitato Londra, sono rimasta stupita dalla presenza di una guardia donna, all’ingresso della metropolitana, che portava i capelli viola, modellati in una fattispecie di cresta, abbinata ad innumerevoli piercing alle orecchie. In italia una cosa del genere non capiterebbe mai, per un semplice motivo suppongo, perchè l’Italia, per quanto bel paese che sia, è piena di bigotti. Da questa penisola la cui storia è raccontata dai meravigliosi monumenti sparsi quà e là e dalla moltitudine di eventi e personaggi conosciuti in tutto il mondo, ci si aspetterebbe tutt’altro che questa tipologia di forme di pensiero limitata. Un po’ come da un vecchio saggio, io mi aspetterei che dal modo di pensare degli abitanti della nostra Italia possa emergere, grazie all’esperienza del tempo, un punto di vista innovativo e non giudicante. Invece, osservando la situazione e paragonandola al resto del mondo, sul fronte “apertura mentale” potremmo tranqullamente posizionarci ai tempi della scoperta della ruota. Mi spiego meglio…

La nostra cultura, fortemente legata alle origini ed alla tradizione, è senz’altro un buon punto di partenza ed una nota positiva per chi nasce nel nostro paese, il valore della famiglia, soprattutto, resta il caposaldo per ognuno di noi. Allo stesso tempo però, proprio per questo forte legame con la tradizione, capita spesso che ci si focalizzi solo su quella, dandola come verità assoluta e limitando quindi la nostra apertura mentale nei confronti di ciò che ci hanno insegnato i nostri nonni. La prima volta che ho stretto la mano ad un omossessuale, non lo nego, ero un po’ tesa, temevo che il nostro differente orientamento sessuale sarebbe stato un muro invalicabile. L’amico che me lo aveva presentato, la cui mentalità aperta mi ha conquistata fin da subito, frequentava una compagnia di “artisti” così li definirei, nella quale ognuno poteva liberamente esprimere la propria personalità ed i propri gusti senza timore di essere giudicato. A quell’età, suppongo diciotto anni, nelle limitate mura del paesino in cui vivevo non avevo mai avuto l’occasione di parlare con qualcuno così diverso da me, o per lo meno mi sembrò a quei tempi. Qualche minuto dopo la nostra presentazione, ho compreso che non solo non c’erano differenze tra me ed il mio nuovo amico, ma che parlando avevamo persino parecchi punti in comune, a differenza degli uomini con cui ero abituata a confrontarmi, con lui potevo avere un dialogo ed un punto di vista maschile anche su argomenti più femminili, come la tipologia di fidanzato perfetto, ciò che ci attrae o meno in un uomo, come conquistarlo, cosa non fare. Dalla sua opinione sono emersi parecchi spunti di riflessione che hanno migliorato notevolmente il mio approccio al mondo maschile. Trovo brutto doverlo dire, ma l’Italia è un paese che, seppur scorra l’anno 2021, vive ancora nella paura di lasciare la forte presa che ha con la tradizione per adeguarsi al cambiamento di mentalità che ormai buona parte del mondo sta avendo. Ovvio, ci sono paesi ancor più arretrati del nostro, ma questo non è certo una valida giustificazione per rimanere arretrati.

Spero che ciò che sto per scrivere possa essere capito per ciò che è, e nel caso non fosse chiaro, vi invito a chiederne specifica nei commenti, ma il mio pensiero è questo:

Quanto è assurdo, nel 2021, dover anche solo specificare che non esistono differenze rilevanti tra un eterosessuale ed un omosessuale? Tra un Cristiano, un Induista o un Ateo? Tra uomini e donne? A me sembra una cosa assurda doverlo continuare a ripetere, un po’ come se ogni giorno, ci si svegliasse e ci si sentisse dire che il cielo è azzurro di giorno e blu di notte. A me sembrano davvero delle ovvietà. Ma comprendo che purtoppo queste rimarcature di concetto siano necessarie per combattere il bigottismo che infetta il nostro e tanti altri paesi. Un’altra cosa che ritengo, a parer mio, sbagliata, è il metodo di comunicazione dei concetti di uguaglianza e di rispetto che viene utilizzato. A primo impatto può apparire funzionante, ma il mostrare un fatto sbagliato limitandosi semplicemente a definirlo errato secondo me non arriva a tutte le persone nel modo in cui dovrebbe, faccio un esempio: Se io pubblico un video dove un uomo picchia un cane con un bastone e comunico che questo fatto è sbagliato, le persone ne prenderanno atto, e per quelle intelligenti che avranno provato empatia nei confronti dell’animale, sarà più che ovvio che è un gesto da non fare. Ma per quelle stupide? Vedere che qualcuno ferisce un animale indifeso può anche essere visto come una cosa normale da fare. A mio dire, il video corretto da pubblicare sarebbe quello dove si vede un uomo che accarezza e gioca con il proprio cane, nel quale viene specificato che esiste un solo modo per rapportarsi con gli animali, quello affettuoso. Non fornire esempi di crudeltà agli idioti secondo me è fondamentale, pubblicare video positivi, che stimolano immagini piacevoli e di amore nella mente di chi li guarda, credo sarebbe il metodo migliore per eliminare buona parte degli atteggiamenti negativi di chi ancora non ha imparato a riflettere prima di agire. Specificare che le donne NON sono diverse dagli uomini, lascia all’interno della mente di chi lo ascolta, quella piccola particella del NON che spesso non viene recepita, rimandando il pensiero alle origini della nostra tradizione dove il ruolo della donna era quello della casalinga ed il compito dell’uomo di fare il bracciante che porta a casa la pagnotta. Ciò che, sempre a mio parere, si sbaglia qui in Italia è il rimarcare concetti senza fornire esempi concreti. Avete mai visto una donna di origine araba, con il velo, lavorare in banca? Io qui non ne ho mai incontrata una, a Londra si. Avete mai visto un uomo con i tatuaggi in vista fare una pubblicità in TV? Ed un uomo di colore condurre un programma televisivo italiano? Non mi risulta. Questo è il male della nostra Italia, che resta sempre un passo indietro rispetto alle altre nazioni, su parecchi fronti, eppure l’esperienza per essere vincente ce l’ha. Dovrebbe solo aprire gli occhi.

Tra paura ed ignoranza c’è un forte legame: la seconda è conseguenza della prima. Se non impariamo a guardare oltre alla paura di ciò che non conosciamo, ampliando le nostre conoscenze, resteremo sempre quel paese di cui gli stranieri parlano perchè la pizza più buona la mangi qui, guardando il mediterraneo, ma che per il resto sbeffeggiano, soprattutto quando parlano di politica.

Io che osservo il mare di Polignano.

₂₅ Punto di scontro

Quanto costa esprimere la propria opinione? Forse il prezzo è proporzionato all’ignoranza di chi la ascolta. Oggi ho potuto mettere alla prova la mia pazienza, approfittando del potere comunicativo dei Social, in questo caso Instagram. E’ apparso nella mia home un video dove si vedeva un uomo attraversare i binari della metro ed alzare le mani contro un ragazzo gay che, a detta del video, stava dando un bacio al suo fidanzato, il tutto prontamente filmato da una donna a circa due/tre metri di distanza. Dopo averlo riguardato attentamente, ho espresso la mia opinione con un commento in cui dicevo che secondo il mio personale parere, questo era un video architettato, e che non sembrava per nulla un fatto reale. Surreale è che la donna abbia cominciato a filmare prima dell’arrivo del “pugile”, come se sapesse che qualcosa stesse per accadere, e che soprattutto, una volta arrivato l’aggressore, il fidanzato del ragazzo si sia dileguato e che la donna abbia continuato a filmare senza provvedere ad intervenire fisicamente (e posso comprendere la sua paura di essere malmenata) ma soprattutto non interrompendo la registrazione per chiamare le forze dell’ordine. Ho in seguito aggiunto che questo tipo di video, sempre secondo il mio parere, incentiva l’omofobia, perchè una persona intelligente sa che è sbagliato, ma un soggetto ignorante può magari sentirsi giustificato nell’agire in maniera simile all’uomo che ha visto in quel video su internet. Che la mia opinione sia giusta o sbagliata, attualmente resta un mistero, infatti non sono presenti testimonianze verbali nè scritte nè filmate del ragazzo “malmenato”, anche se spero di venirne presto a conoscenza. La cosa che mi ha sconvolto, però, è stato il ricevere commenti offensivi dove venivo giudicata o per il mio pensiero, palesemente diverso da quello di quasi tutta la community che ha creduto nella veridicità del video, o giudicata in base al mio essere donna (cit: “avrei voluto vedere se tu fossi intervenuta da brava eroina”) oppure in merito alla descrizione del mio profilo (cit:”quanta ignoranza, torna a fare yoga!). Mi fermo e mi domando cosa, della mia opinione, possa aver turbato l’ego di queste persone. Forse trovare qualcuno con un pensiero diverso dal loro li ha fatti sentire in pericolo? Oppure le mie supposizioni gli sono suonate così strane da reputarmi una persona ignorante e quindi si sono sentiti liberi di offendere? E chi gliel’ha data questa libertà? Chi stavano difendendo dalle mie parole? O forse semplicemente questa ristretta cerchia di soggetti, usa i social media come valvola di sfogo per sfogare la loro frustrazione? Non saprei, io resto interdetta. Sotto il video, con ragione, ci si lamenta perchè un uomo ha attraversato i binari per dar contro ad un ragazzo che la pensava diversamente da lui aggredendolo. Ma questa faccenda non è poi così lontana dal lasciare un commento offensivo a qualcuno che ha un’opinione diversa da te. Esiste la violenza fisica, ma anche quella psicologica, che viene spesso lasciata in secondo piano. A questo punto mi sembra di vivere in una realtà surreale, dove le persone fanno gregge cercando un punto di incontro, ma infondo, presi da soli, basta davvero poco per trasformare quel punto in uno scontro. Che il video sia vero o meno, ormai fa poca differenza, posso però dire che c’è una grossa similitudine tra l’umo che ha aggredito il ragazzo perchè diverso da lui, e le persone che hanno aggredito me, per la mia opinione diversa dalla loro.

“ Quando il soggetto vale zero, l’offerta è nulla” è un modo di dire che ho sempre sfruttato per risollevare il mio morale in seguito a critiche non giustificate, lo utilizzo anche adesso ma in chiave rivisitata: che cos’è un’opinione, se non un pensiero espresso da una mente? E quanto può valere questo pensiero, se ad esprimerlo è una mente incontrollata? Chi è consapevole dei propri pensieri e delle proprie parole non userebbe mai un parere diverso dal suo come punto di scontro, al contrario, ne discuterebbe per avere un confronto dal quale ne uscirebbe una persona migliore.

NAMASTÉ

Vi allego il video così che anche voi possiate esprimere la vostra opinione in merito, certa però che in questa community troverò rispetto e confronto costruttivo🥰


𝑨𝒏𝒕𝒓𝒂𝒄𝒊𝒕𝒆

Capitolo uno: Guardami negli occhi.

Era a destra o a sinistra? In questo quartiere le vie sembrano tutte identiche. Svolto a destra, casa gialla, casa con i cerbiatti finti in giardino, casa di pietra, casa rossa con il portone di legno scuro, ho svoltato ancora nella direzione sbagliata. La strada scorre…

Continua la lettura…

Nella sezione 𝑨𝒏𝒕𝒓𝒂𝒄𝒊𝒕𝒆 pubblicherò questo racconto di fantasia.. ma per ora non voglio spoilerare nulla o creare aspettative.. può anche essere che sia iniziato e che non venga mai finito.. chissà.. per ora mi limito a presentarvi Becca.

Bozze di questo libro che nacque
e morì su carta scarabocchiata ormai quattro anni fa.

₂₄ Non fare rumore

Bisbiglio, per rivelarvi questo piccolo segreto… il mostro si è addormentato…

Ve lo ricordate, ve l’ho raccontato, di quel mostro non addomesticato che viveva sotto il letto della mia camera mentale?C’è una stanza nella mia testa, dove tengo tutte le cose importanti, ha nel centro un letto a baldacchino, dove mi piace sdraiarmi e ricordare, sfogliando vecchie foto o quelle simpatiche cartoline che mi spedivano le amiche quando andavano in vacanza. A lato del letto ci sono due comodini, uno è quello delle cose belle, l’altro contiene invece quelle brutte. Il secondo, quando lo guardo mi fa sorridere, ha un cassetto che resta sempre un po’ aperto perchè ci ho messo dentro una cosa troppo grande per lui, e quindi non si chiude, resta sempre lì, al lato del letto. “Compra un comodino più grande”, consigliereste voi, ed avreste ragione, ma nella mia mente lo spazio è quello, e con il tempo ho imparato ad accettare di avere un cassetto, nel comodino delle cose da dimenticare, che resta sempre un po’ aperto. Ed il mostro cosa fa nascosto sotto il letto? Non starebbe più comodo dentro l’armadio?No, nell’armadio ci sono troppi vestiti! Lo sapete che sono accumulatrice seriale!Il mostro sta sotto il letto perchè lì, sotto un’asse del parquet, ci ho nascosto tutte le mie insicurezze.. lui le ha scoperte ed ha fatto di tutto per non farmele affrontare, anzi, quando mi sdraio sul letto a ripensare, lui me le sussurra, sottovoce. “Vorrei avere una casa con il giardino..” – “non puoi permettertela” – “Vorrei essere più sportiva” – “cosa dici, non hai abbastanza costanza” – “Vorrei essere importante per quella persona” – “non dire cavolate, lo sai che non vali niente” – “vorrei mostrare alle persone che ho intorno, chi sono realmente” – “non ti conviene, lo sai che alla fine non gli piacerai” – “vorrei dimostrargli che sono abbastanza” – “e perchè mai? Il mondo è pieno di persone migliori di te, perchè dovrebbe ritenerti abbastanza?” – “Vorrei fare qualcosa per, seppur in modo piccolo, cambiare il mondo!” – “per poter cambiare il mondo, la tua vita deve avere un senso, ed a quanto vedo, la tua non ne ha!”.

Il mostro alza l’asse del parquet ed accarezzando le mie insicurezze con le sue dita pelose, me le ripete, bisbigliando, perchè non vuole essere sentito da nessuno, lui vuole dirle solo a me, perchè sono quelle che lo tengono in vita, perchè sono io quella che lo ascolta. Lui vive solo grazie alla mia paura, lui è la mia paura. Lentamente sfoglia, una alla volta, le cartoline dei miei dubbi, osservandomi con i suoi occhi gialli, “perchè non ti avvicini? perchè non mi guardi?”, allunga la sua lanosa mano color viola scuro e cerca di afferrarmi una gamba da sotto il letto. “Vieni qui, ascoltami, ti sto dicendo la verità, non avere paura”. Le dita si aggrappano al copripiumino e lo arricciano, si arrampicano arricciandolo, alla ricerca di un contatto con me.”Non mi toccare!” gli grido, per la prima volta mi chino a guardarlo, sottosopra, dal bordo del letto. I miei occhi spaventati incontrano i suoi.”La paura esiste solo se credi che esista.” gli dico sfidandolo. Gli occhi del mostro, dapprima sbarrati, si stringono in due fessure, tutto d’un tratto, quell’istante di silenzio si fa assordante, lui ritrae la mano indietreggiando e facendosi più piccolo. “Ne riparleremo quando ti sarai addormentata”, mi dice, fievolmente, poco prima di raggiungere il sonno con uno sbadiglio. Sorrido, “quando mi sarò addormentata”… non è quel tipo di sonno, quello di cui parla. Da questo, puoi solo risvegliarti, aprire gli occhi, e non dormire mai più.


In questi giorni comprendo che esiste un solo, vero ed unico modo per superare la propria paura. Trovarla, capirla e guardarla. Riconoscere che si tratta di paura.Questa è la soluzione. “Non so perchè non faccio quella cosa, vorrei ma non credo che sia la cosa giusta, cosa accadrà, che diranno gli altri?”, non te ne accorgi ma anche il tuo mostro ti sta tenendo la caviglia con la sua mano pelosa. “Perchè non lo fai?” perchè qualcuno ti sta bisbigliando di non farlo, te lo presento, quel qualcuno è la tua paura. L’unico modo per capire se devi o meno fare una cosa è chiderti ” Non lo faccio perchè ho paura?”, se la risposta sarà si, qualche istante dopo ti accorgerai che tutta la paura sarà scomparsa, perchè lei vive nella nostra mente, e lo so che spesso ce lo dimentichiamo, ma lì dentro niente esiste per davvero.

₂₃ Ordinariamente straordinario

A guardarci siamo tutti così simili, abbiamo tutti dei sogni, delle aspettative e delle delusioni, eppure ad osservarci meglio, siamo tutti così diversi. Ma quali sono i nostri punti di forza e le nostre debolezze? Come possiamo comprendere cosa ci accomuna con gli altri, ma soprattutto, cosa ci rende ordinariamente straordinari? Per un’assurda equazione dell’universo, scoprire sè stessi è l’unica occasione in cui, per avere di più è necessario togliere. Per conoscere la nostra vera essenza dobbiamo imparare a togliere l’apparenza, quella corazza che con il tempo abbiamo costruito insieme all’opinione degli altri. Per assurdo, nell’infanzia, non facciamo in tempo a capire chi siamo, perchè in qualche modo ce l’hanno già detto gli altri. Sei alto, sei basso, sei cicciottella, sei magrina, sei bello, sei brutta, sei ricca, sei povero, sei intelligente, devi studiare di più, sei troppo agitato, sei una bambina tranquilla. E noi ci abbiamo creduto, a tutte queste etichette, e quando ci dicono di descrivere noi stessi, sono proprio quelle che utilizziamo: sono Roberta, sono alta 1,68, magra, ho gli occhi castani ed i capelli lunghi, lavoro in un negozio, vivo a Bergamo. E mentre leggete questa descrizione già vi state immaginando di aver capito abbastanza di me, o meglio, il necessario per posizionarmi in una delle tante categorie a cui la vostra mente è abituata ad associare ogni cosa, io farei altrettanto, non è colpa di nessuno, è solo merito della nostra mente che immagino come un’attempata signora in tailleur scozzese che, seduta ad una scrivania, cataloga e riordina interi fascicoli di varie argomentazioni. Ma io sono stanca di tutte queste etichette, e di ricordarmele soprattutto, quindi questa sera condivido con voi il metodo più sorprendente che ho scoperto per scavare dentro me stessa e ritrovare ciò che avevo perso, sommerso da tutte quelle scartoffie. Adesso basta posizionare le persone, ognuna sul proprio scaffale, come al supermercato. Nel reparto surgelati ci metto quello che fa battute che non fanno ridere nessuno, in quello dei dolciumi ci metto la mia mamma, la mia collega beve un sacco di caffè quindi quello sarà il suo reparto, quella che esordisce sempre con le solite frasi fatte la metto nel reparto occasioni, è così scontata, ed io con il mio carrello passeggio, corsia dopo corsia a controllare che ogni cosa sia al suo posto. Scherzo! Io prendo tutto ed esco dal mio supermercato interiore, e butto tutto all’aria, così che ognuno trovi il posto che gli spetta nel mondo, libero di essere ciò che è, ed io libera di guardarlo con occhi diversi e magari meno ciechi.


Per trovare te stesso devi imparare a togliere, per poi vedere cosa rimane. Ve lo dico, è un po’ difficile e più si prosegue, più ci si confonde, ma ne vale la pena!


Immagina te stesso seduto in riva al mare, o in montagna, magari sotto un grande Abete, oppure sulla sponda di un fiume. Immagina te stesso per quello che sei proprio in questo momento, come porti i capelli, cosa indossi, guardati per quello che possiedi in questo istante, di certo sentirai che manca qualcosa, oppure è la giornata giusta e ti senti grato perché le cose sono così come sono. Ora comincia a togliere ed a osservare cosa succede dentro di te se ti dico che, da questo momento in poi non avrai più un’auto. Un bel problema! Però infondo sei sempre lo stesso anche senza auto, no? Ti mancherà, oppure ti manca già…

Sei seduto ed ascolti i rumori della natura, improvvisamente ti dico che da domani non potrai più vivere nella tua adorata casa, vivrai in un monolocale! Questo è stato un colpo basso, lo so, come ti senti? Sei ancora la stessa persona senza avere la stessa casa? penso di si. Eppure, non possederla più, fa male… ci avevi investito così tanto tempo o così tanto denaro… o magari non t’importa, tanto era in affitto…

Un lieve venticello ti sfiora la pelle, per consolarti.. io invece non ti consolo e ti dico che nel trasloco andranno persi tutti i tuoi abiti, resterai solo con tre magliette e due paia di jeans! Ce la faranno gli altri a capire chi sei, indossando questi semplici abiti? Tu riuscirai a specchiarti ed a riconoscerti? Sei ancora seduto nello stesso posto, ma forse ti senti un po’ troppo leggero senza tutte le tue cose a cui sai di poter tornare.. eppure c’è ancora tanto da togliere.. ad esempio il lavoro che fai!
…eh si perchè oggi era il tuo ultimo giorno di lavoro, nel posto in cui sei stato poco o magari invece tanti anni. Non hai più un lavoro! Chi sei adesso? Scommetto che, infondo, ti senti ancora te stesso, forse aver perso così tante cose ti sta facendo una paura tremenda, eppure, lo senti che dentro di te non è cambiato niente, o forse si? Come ti senti in questo momento?
Il sole sta tramontando, ma non è ancora l’ora di alzarsi.. prima devo dirti che quando tornerai a casa non troverai più le persone e gli animali con cui vivi… questo si che è un brutto colpo! Però tu esistevi già prima di conoscerli, respiravi e vivevi anche senza di loro… ti ricordi chi eri prima di incontrarli? Stai andando a fondo… o forse, nel profondo. Chi eri dieci anni fa? guidavi la stessa auto? vivevi nella stessa casa con le stesse persone? avevi lo stesso lavoro ed indossavi gli stessi abiti? e vent’anni prima com’eri? com’era la tua faccia vent’anni fa? Cosa facevi quando arrivavi a casa?

Mentre rifletti su questo, scende il buio. E’ ora di alzarsi… però prima devo dirti un’ultima cosa, non vivrai più nella stessa città, andrai a vivere in quella che hai sempre sognato… sarai sempre la stessa persona con questa nuova vita? Sarai sempre te stesso? Chi sei, nel profondo, tu?


Il nostro viaggio interiore è finito, e possiamo tirare un sospiro di sollievo, abbiamo ancora un tetto sulla testa!
Questo percorso però è servito a qualcosa. E’ stato necessario per comprendere che, a prescindere da ogni singola cosa esistente nella nostra vita adesso, ci sarà sempre una parte dentro di noi a restare sempre la stessa, immutata. Le cose cambieranno, come sono sempre cambiate, anche se quasi impercettibilmente, eppure, c’è una cosa che rimane sempre tale e quale. C’è chi la chiama personalità, carattere, essenza oppure Anima. Però c’è! È straordinario comprendere che tutto il mondo cambierà, che la nostra vita cambierà, ma che noi non dovremo avere paura perchè potremo sempre contare su un’unica certezza: che ciò che siamo, resterà sempre immutato. A prescindere dal ciclo della vita che ci circonderà, noi avremo sempre un luogo sicuro in cui trovare certezza. Dentro di noi. Bisogna solo imparare a trovarSi. Perchè la vita è imprevedibile, ma noi con la nostra Anima, non lo siamo.

L’anima è una cosa che abbiamo tutti, per questo è ordinaria. Ma a differenza di tutte le cose ordinarie, non muta. Proprio per questo, è Straordinaria.

₂₂ Vita da cani

Bentley. Il mio Chow Chow

Se non avete mai avuto un cane, e vorreste prenderlo, non prendete un Chow Chow. In realtà, non prendetelo neppure se non si tratta del vostro primo cane, nè del secondo nè del terzo. Forse se avete un giardino e non dovete portarlo a spasso, o se avete una slitta da trainare, ecco forse, solo in quel caso, potrebbe essere un grande affare.
Oppure, fate come me, prendetelo se avete bisogno di qualcuno che vi insegni ad avere pazienza, perchè di certo, su questo fronte sarà un buon insegnante!

Bentley, per gli amici Benny, per i conoscenti “il bimbo” oppure “bel papatone” o “palla di pelo”, per gli estranei “ Ciòh ciòh”, “schú schú”, “Ciuf Ciuf” o il migliore “Ciao Ciao”, ecco, Bentley è il nome del mio cane di razza Chow Chow (letto ció ció). Per sua natura, come tutti i cani di razza primitiva, è di carattere molto cocciuto, per nulla incline all’addestramento, e parecchio solitario, in pratica, è come avere un gatto, ma molto più grosso. Ma partiamo dall’inizio…

Non contenti di convivere con solo quattro gatti in un appartamento di 70 metri quadri, perchè non adottare anche un bel cagnolino peloso con cui guardare Netflix sul divano la sera e per fare lunghe passeggiate nella campagna che circonda la casa? Da cuccioli sono bellissimi, sembrano proprio degli orsetti coccolosi, io l’avevo visto in una fotografia, era bianco e tutto peloso, con la sua linguetta blu, ed il destino ha voluto che, cercando un po’ in giro, ne esistesse uno tale e quale apposta per me, a Torino!

Quando siamo arrivati all’allevamento ci hanno accolto otto pelosissimi e simpaticissimi Chow Chow con il pelo di differenti colori, c’era una femmina color cioccolato che sembrava appena uscita dal parrucchiere perchè aveva come dei “colpi di sole” più chiari su tutta la criniera, ed era dolcissima! Il padre della cucciolata, Leo, aveva un testone enorme ed una coda così vaporosa da non riuscire bene a capire, visto da lontano, quale fosse il davanti e quale il dietro. Uno spettacolo meraviglioso. L’allevatore ci ha accompagnato nella stanza in cui riposavano i cuccioli, ed eccolo lì, in mezzo ai suoi quattro fratelli color marroncino, il nostro prescelto, che spiccava con il suo pelo bianco ed il suo musetto già tanto curioso per avere solo trenta giorni di vita. Preso in braccio era proprio identico ad una foca! Ma mi guardava già, ed io guardavo lui, e gli batteva il cuoricino, e batteva anche a me, e forse è stato quello il momento in cui abbiamo avuto un colpo di fulmine. Due mesi dopo era in auto con noi, agitato e pronto per venire a conoscere i suoi quattro fratelli gattosi.

Comincia l’addestramento che mi avrebbe trasformata da donna irascibile a guru della pazienza. Per non si sa ancora quale motivo, a Benny piacevano molto le nostre caviglie, motivo per cui era praticamente vietato camminare in casa indossando pantaloni che le mostrassero. Azzannati dalla mattina alla sera non c’era per noi tregua, se non in quei pochi momenti in cui dormiva, o se la prendeva con la testiera del divano. Fortunatamente non ha apprezzato le gambe in ferro del tavolo, o forse non erano abbastanza tenere per lui, ma di certo ha gradito molto l’angolo del muro vicino all’ingresso, che tutt’oggi porta ancora i segni del suo passaggio dentale. La cosa più semplice era portarlo a spasso, sia perché pesando solo dieci chili era abbastanza facile da prendere in braccio nel caso in cui decidesse di sdraiarsi in mezzo alla strada, sia perchè, essendo cucciolo, non scatenava negli altri cani l’istinto rabbioso di azzannarlo. Ma il tempo passa, i cani crescono, e le cose cambiano.

Bentley. Quattro mesi.

Il piccolo azzannatore di caviglie lascia spazio al grosso ed entusiasta trainatore di slitte anarchico. Trenta chili di cane, ma con la forza di bulldozer. Fare passeggiate con lui è un ottimo allenamento per braccia e gambe, sia nella fase iniziale, dove appena uscito di casa corre in preda a chissà quale attacco di entusiasmo verso una meta indefinita e ti traina senza ritegno, che nella fase finale, dove comprende che si sta tornando al punto di partenza e quindi decide di sdraiarsi nel bel mezzo della strada per restare, ancorato, non si sa come, al suolo, con te che cerchi di farlo rialzare prendendolo dalla maniglia della pettorina, con scarsi risultati ovviamente. Poi ad un tratto volge il suo sguardo da cane tontolone verso di te come per dire “che ho fatto?” E tu non riesci proprio a stare arrabbiata, le tue mani senza il minimo controllo si avvicinano a quella sua testona pelosa ed iniziano a spaciugarlo come fanno le nonne con le guance dei bambini. Anche questa si chiama pazienza. Il non riuscire ad arrabbiarsi in alcun modo, il non avere la minima possibilità di scelta sulla direzione in cui andare durante la passeggiata, il dover far forza attaccata al guinzaglio quando si incontra un altro cane maschio con cui non va d’accordo, il cercare di alzarlo da terra come se fosse una borsa della spesa, slegarlo per fare una passeggiata e vederlo scappare, perdere dieci anni di vita per poi ritrovarlo seduto davanti ad un recinto, a fissare i polli che razzolano nell’aia.

Il mio cane spesso mi ricorda il fluire della vita. Una mattina ti alzi dal letto, stendi il tappetino per fare yoga, ma lui non è d’accordo e disturba l’intera lezione leccandoti gli arti oppure starnutendoti in faccia mentre sei sdraiata. Tu non te lo aspetti ma non puoi farci niente, se non cercare di ripararti dallo sputo. Come nella vita. Scendi, pensando di uscire dal portone e di andare a destra, ed invece di colpo ti senti trainare verso sinistra. Pensi di poterti bere in tranquillità un caffè al bar, ma non è il momento giusto perchè lui deve ancora perlustrare per la centesima volta il quartiere, e così il caffè te lo bevi “alla goccia”. E tu non puoi farci niente perchè se non ti alzi dalla sedia lui continua ad abbaiare disturbando l’intero universo. Vuoi fare una lunga passeggiata a ritmo spedito per sciogliere la tensione, ma non è il giorno giusto perchè lui deve annusare tutti ciuffi d’erba che trova sul marciapiede, e mentre lo fa tu impari la pazienza, e l’immensa forza che ti dà l’amare qualcuno.
Prima di conoscerlo mi arrabbiavo sempre, per tutto. Se c’era la pioggia mi innervosivo perchè volevo il sole, se programmavo una cosa ma poi per un inconveniente non accadeva, se volevo mangiare i biscotti a colazione ma in dispensa erano finiti. Mi arrabbiavo spesso, per tante cavolate. Ma le cose, nella vita, accadono anche senza una ragione, e soprattutto anche senza aver ricevuto un avviso, e solo noi abbiamo il potere di scegliere come viverle. Lo stesso fatto può essere vissuto con accettazione ed ottimismo, oppure con rifiuto e pessimismo, il fatto è lo stesso, l’opinione in merito è diversa. Benny mi ha insegnato questo, ad accettare che lui è un cane e che per sua natura non mi darà mai retta, perchè è fatto così, e che io ho la mia vita, ma che per sua natura, non andrà sempre come dico e voglio io.

Quindi usciamo di casa e facciamo questa passeggiata senza aspettative, la vita ci trascinerà in qualche situazione anche se oggi volevamo solo stare tranquilli, oppure ci costringerà a fermarci per riflettere anche se avevamo appena deciso di uscire e correre. La vita è così, che si abbia o no pazienza, lei accadrà. Se l’ho capito è stato solo grazie a quella piccola foca che ormai è diventata un’immensa palla di pelo dal cuore morbido, e quando mi fa arrabbiare faccio un respiro e penso che forse, se ha deciso di trascinarmi o di fermarmi, era perchè questo era ciò che doveva accadere.

Io faccio Yoga, Benny dorme.

₂₁ Con permesso

Chiedo scusa, posso passare?
Nella mia testa innumerevoli personalità sgomitano per farsi spazio e raggiungere il palco della mia vita, ma per un motivo o per l’altro mai nessuna arriva per prima, si affollano sempre tutte insieme, le osservo dall’alto, con quel poco di distacco concesso dalle transenne che ci separano e mi chiedo, ma cosa ci stanno a fare tutte queste personalità in un unico essere umano? Esistono davvero? O sono pazza? Alzano le mani al cielo per essere interpellate o solo per fare un sacco di casino?

Più o meno all’età di cinque anni ho conosciuto la personalità della stilista, che si realizzava abiti di gran lusso e di estrema eleganza (a suo dire) con i ritagli di stoffa che la nonna avanzava dopo aver riposto la sua macchina da cucire, abiti senza maniche ma con lunghi strascichi che dopo soli due passi era già per terra, una personalità fiabesca, che amava danzare immaginandosi di essere in un immenso giardino pieno di fiori o in un’enorme sala da ballo. Non si è mai sentita sola perché oltre alle reali persone che la accudivano nella vita vera, passava intere giornate insieme all’altra personalità, la fantasiosa, che non tardava nell’inventare surreali scenari fiabeschi o nel rivisitare cartoni animati inserendo se stessa come protagonista, se solo sapeste che fine ha fatto fare alla povera Bulma, la tizia con i capelli blu in Dragon Ball. Forse un annetto più tardi, questo allegro duo ha fatto amicizia con una terza personalità conosciuta in giardino: il maschiaccio arrampicatore di pini. Scoprire di avere degli arti per salire sugli alberi è stata la scoperta più emozionante dei primi miei dieci anni di vita. Gare in bicicletta, scherzi al citofono dei vicini, esplosioni con petardi messi in scatolette delle patatine Pringles, nascondino al buio, guardia e ladri dove perdere era inammissibile, ed ovviamente l’estrazione della resina dal tronco degli alberi per incollarla sulle selle delle biciclette dei nemici. Con tutto questo esercizio fisico non si poteva far altro se non intraprendere una carriera sportiva, e quindi eccomi a pattinare in una palestra con un bel body blu ed arancione, e poi a fare lezioni di nuoto, ma solo per poco, giusto il tempo di capire che avevo passione per la danza, e quindi danza jazz per cominciare, ma la ginnastica artistica mi ispirava di più, facevo spesso le ruote in giardino, però le parallele erano troppo difficili quindi forse meglio tornare alla danza moderna, ma che dico meglio hip hop! Un po’ di aerobica non guasta ma solo una lezione perchè ci si stanca troppo con tutti quegli esercizi, e poi la corsa, il pomeriggio, per dimagrire perchè a sedici anni si è tutte un po’ rotonde, poi la palestra con tutti gli attrezzi e gli squat con il bilanciere con un carico da 45 kg, ma cantare in un gruppo mi appassiona di più! Il canto è uno sport? Beh fino in fondo non ero convinta nemmeno di quello, per fortuna ho trovato una compagnia teatrale dove si fanno musical così posso unire sia il canto che la danza, ma c’è troppo da faticare con il montaggio delle scenografie e con il lavoro faccio troppa fatica, non mi resta che abbandonarmi al lieto far nulla finchè un giorno non scopro lo yoga e per il momento la personalità della sportiva sembrerebbe convinta. Di pari passo con l’evolversi della mia vita ho avuto il piacere di incontrare la make-up artist, una personalità eccentrica che si offriva di truccare metà della classe ogni sera in gita scolastica, ed ovviamente ogni malcapitata amica con cui avrebbe trascorso la serata, i capelli non andavano trascurati quindi l’acquisto di 5 piastre differenti per ogni tipo di acconciatura era d’obbligo, e così anche per le unghie! Non vorrai mica indossare i sandali con le unghie dei piedi non curate, dico io ma siamo pazzi? E con tutta questa preparazione fisica, è necessario trovare anche l’abito giusto ma non preoccuparti perchè la personalità della personal shopper, della Styler, della fashion victim è già pronta ad intervenire per poi sfociare in accumulazione seriale di outfit di dubbia portabilità (ma che Lady Gaga avrebbe trovato all’altezza per uno dei suoi concerti). Ok, ora sono un po’ confusa, ricapitoliamo, abbiamo detto: la stilista, la fantasiosa, il maschiaccio, la sportiva, la truccatrice/parrucchiera/nailartis, e per ultima la modaiola (-che poi si trasforma in accumulatrice seriale). Però così sembra che si sia trascurato il lato interiore, per fortuna c’è la psicologa ascoltatrice che non tarda a dare un buon consiglio gratuito a chiunque decida di confidarsi con lei, ma c’è anche la personalità dell’amica che sta sempre dalla tua parte perchè meglio non avere rimpianti e quindi via, una spinta verso il baratro ma una spalla certa su cui piangere. E nei momenti di tristezza non possiamo dimenticare della mia personalità preferita, in assoluto: l’animatrice sociale. C’è una festa? Una laurea? Un corso di formazione? Una cena di lavoro? Una rimpatriata di classe? Una serata tra amiche? Il pranzo di Natale in famiglia? L’animatrice in perfetto stile villaggio turistico non tarderà a creare scompiglio nella serata, a coinvolgere il gruppo in giochi demenziali (degno di nota fu il “-un due tre stella” notturno in pieno centro storico della città, che fu bruscamente interrotto da una secchiata d’acqua gettata da una signora, dalla finestra di un palazzo nel tentativo di porre fine agli schiamazzi ed alle grida con i quali riempivamo il silenzio delle strade), l’animatrice non ti farà mai sentire solo/a anzi, procaccerà per te qualche nuovo fidanzato/a, ,a c’è da tenerla d’occhio quando beve i cocktail perchè, seppur abbia un freno, diventa follemente incontrollabile. Ma stavamo parlando di personalità serie, quindi non posso non citare la stacanovista, che mette il lavoro al primo posto, con il telefono sempre in mano, pronta a rispondere per ogni evenienza, la venditrice, l’empatica, la socievole, la responsabile, la problem solver. E tutto ciò non può che essere governato dalla meticolosità e dalla rigidità di una sola personalità: l’ansiosa, che se qualcosa va storto non si dorme di notte. Per fortuna esiste la lettura, la consola così la sua amica e confidente, la Lettrice, che ama trovare risposte in libri dove vengono spiegate innumerevoli teorie sul senso della vita e sul senso degli uomini. C’è anche la cuoca, che si rilassa cucinando ma che ha davvero un brutto difetto, non riesce proprio a pesare gli ingredienti, deve per forza andare ad occhio, o metterci più pepe, o più zucchine, o meno pane, o 3,56gr in più di burro.Non diteglielo, perchè poi si offende, ma quando cucina così, a caso, le ricette fanno pena! Oh no, se ti ha sentito e se l’è presa corre subito dalla sua amica, la Rabbiosa, che si porta dietro uno zaino pieno di irrisolti che non vede l’ora di tirarti addosso non appena fai scattare la scintilla, lei è proprio una testa calda, anche se mentre sbraita ragiona a freddo, con la mente lucida e sadica, povera me, questa personalità è veramente tremenda da gestire, per fortuna io e tutte le altre abbiamo trovato qualche soluzione per tenerla a bada, ma non fategliene parola, o ci fa fuori tutte. La romantica vede del buono in tutto, forse è rimasta a quando aveva cinque anni e ballava in salotto con indosso gli stracci, lei ci vede solo del bello, e perdona tutti, ed ama tutti, e lascia la porta aperta per tutti. Ma per fortuna c’è la Cazzuta, quella con le palle, che la tiene a bada e la riempie di ceffoni per farle aprire gli occhi, ma infondo è fragile pure lei, così a volte le tocca farsi da parte e guardare la romantica ballare con l’amore ed inciampare nei suoi stessi piedi.

Che fare?
Io proseguo questo mio viaggio, senza arrendermi, alla ricerca di me stessa, però è un po’ difficile trovarsi, in mezzo a tutta questa folla… che posso fare?

Se siete arrivati a leggere fino a qui vi ringrazio per il tempo che mi avete dedicato, che ci avete dedicato, e vi invito a condividere con me il racconto della vostra propria personalità preferita! Vi leggo molto volentieri..

Where is Waldo?

₂₀ Incostanza autorizzata.

Va bene, se le cose non vanno bene. Va bene se metti la sveglia alle 07:00 ma poi la rimandi fino alle 08:00, se avevi detto che avresti bevuto solo caffè d’orzo ma poi stamattina ti sei bevuto un caffè espresso. Va bene se decidi che ti piace il colore giallo ma poi indossi sempre il nero, se fuori fa freddo e ti dimentichi di mettere la canotta. Va bene se sei d’accordo di uscire a pranzo con un’amica ma all’ultimo minuto non ti senti bene e le dai buca, se è il compleanno di tuo fratello e te ne dimentichi. Va bene se la cucina va sempre sistemata la sera ma oggi sei troppo stanca e lasci i piatti nel lavandino, va bene se avresti dovuto stendere i panni ma sei già nel letto con la luce spenta e non hai proprio voglia di alzarti. Va bene se hai la macchina che è un disastro ma la pulisci solo fuori lasciando il caos dentro, se sono due mesi che devi riempire l’acqua per i tergicristalli ma non l’hai ancora fatto. Va bene se il lunedì hai cominciato la dieta ma oggi al lavoro c’era la torta e te ne hanno data una fetta, se nei giorni con il numero della data pari vai a correre ma stasera in tv danno quel film che non puoi perdere.

Va bene se avevi detto che questa volta non avresti mollato, invece l’hai fatto.

Dico che va tutto bene, perché spesso ci imponiamo delle cose che non ci appartengono. Dobbiamo essere così, dobbiamo fare cosà. Dobbiamo essere coerenti con le promesse che facciamo a noi stessi, e se non ci riusciamo ci sentiamo in colpa, o ancor peggio dei falliti. Dico che va tutto bene anche se le cose non vanno bene, perché in fondo se ci fosse stata una soluzione l’avremmo già trovata, e va bene anche questo, non trovare soluzioni. Siamo severi con noi stessi, ma perché? E’ forse perché qualcuno, un giorno, ci ha detto che dobbiamo sempre essere coerenti? Che se decidi di iniziare a percorrere una strada, allora dovrai saper arrivare alla fine? E se la strada è quella sbagliata per te, chi te l’ha detto che non devi cambiarla, che devi buttare via il tuo tempo correndo sul sentiero che fa per qualcun altro? Chi te l’ha detto che non puoi cambiare idea? Che devi essere quello che sei stato fino ad ora, che devi scegliere tra essere un impiegato o un musicista, tra una segretaria o una giardiniera? Pensi cosi perché ti hanno detto che essere entrambe le cose è impossibile, che si può fare bene solo una cosa nella vita, due cose fatte bene sono troppe?

Chi te l’ha detto? Chi ce l’ha detto? Non lo ricordiamo, eppure le sue vecchie parole gravano sulle nostre spalle più di un macigno. Dobbiamo imparare ad essere liberi, di essere quante persone vogliamo anche se in fondo siamo solo una, liberi di cambiare idea se abbiamo capito che non è la strada che fa per noi, liberi di prenderci del tempo per noi stessi se non stiamo bene, con le dovute spiegazioni quell’amica capirà. Dobbiamo imparare a toglierci quello zaino di sassi che ci portiamo sulle spalle inutilmente da chissà quanto tempo, e cominciare ad essere chi vogliamo essere in questo momento. Possiamo smettere di vivere trattenendo il fiato, nell’ansia di non essere capiti, di essere giudicati. Possiamo fare un bel respiro e cominciare ad accettare che certe auto-imposizioni che ci diamo non ci rendono felici! E quindi a che servono? Possiamo comprendere che la vita è la nostra e che noi siamo gli unici ad avere il potere di decidere cosa ci fa stare bene. Saremo “diversi”? Chi ci ama ci comprenderà.

Ho praticato una decina di sport senza aver mai provato una vera passione per nessuno di essi, ho iniziato altrettanti libri senza portarli a conclusione, ho deciso di imparare a cucinare ma ho mollato, ho provato a suonare la tastiera ma non ci capivo niente sullo spartito, ho riempito l’armadio di vestiti che non mi si addicevano ed alla fine li ho dati via praticamente tutti, ho imparato a fare trucco, capelli ed unghie per essere una make up Artist ma adesso è già tanto se ho voglia di sistemare me stessa, ho adorato persone nella convinzione che ci fosse un “per sempre” ma poi le ho allontanate perché le cose non andavano bene. L’elenco potrebbe proseguire verso l’infinito…

Non ho concluso praticamente niente di ciò che avevo cominciato. Dovrei sentirmi in colpa, ed a suo tempo mi sono sentita in colpa, ma sinceramente adesso non mi interessa, evidentemente nessuna di queste era la mia strada. Continuerò a cercarla, o perlomeno, finché non mi sarò stancata di fare anche quello!

Auguro a tutti voi lettori di aver trovato o di trovare la propria strada, e di prendere la vostra vita e le vostre sfide che vi imponete, meno sul serio!

Un giorno Alice arrivò a un bivio sulla strada e vide lo Stregatto sull’albero. “Che strada devo prendere?” chiese.

La risposta fu una domanda: “Dove vuoi andare?”

“Non lo so”, rispose Alice.

“Allora, – disse lo Stregatto – non ha importanza”.

Alice in Wonderland

₁₉ Nei miei sogni.

Nei miei sogni mi sveglio con il bacio delle prime luci dell’alba,

attraverso il vetro della grande veranda vengo accarezzata dal tepore di un raggio di sole.

Il profumo della brezza é l’abbraccio che mi incoraggia ad uscire dal letto per attraversare la stanza.

Volgo lo sguardo all’esterno, con la loro fragranza mi salutano il rosmarino ed il ginepro. Timido sporge il mirto dal piccolo muretto in sassi.

L’airone sorvola il tetto prima di partire per il mare. Chissà cosa si prova a volare verso il confine del mondo.

La sabbia è ancora fredda, i suoi granelli avvolgono i miei piedi, cammino.

Delicate, s’incontrano tra loro le onde, e danzano. Con il loro fruscio, come foglie che si staccano dal mare, sfiorano la mia pelle, un brivido mi accoglie.

Il cielo dapprima viola, si tinge di rosa e poi di arancione, in un arcobaleno di tinte deliziose. Lo assaggio, ha il sapore della quiete, e qui rimango, cullata dal mare.

Ciò che resta del silenzio della notte svanisce, toccato dallo stridio dei gabbiani. È tempo di cominciare a vivere.

Il paese, con le sue candide case ed i suoi immensi vasi di fiori e piante grasse, mi aspetta. Ci rivediamo dopo, sussurro allora al mare, ci rivediamo insieme alle stelle, ce ne sono tre che mi piacciono tanto. Sono allineate come a formare una retta, a volte se ne vanno, a trovare chissà chi in questo universo, ma poi tornano per ricordarmi che siamo sempre qui, io, loro, il cielo ed il mare.

Se lo incontrate salutatemelo, gli dico,

“Chi?” Mi chiedono.

Il mio amore

₁₈ Non offenderti, Narciso.

Narcisismo patologico, un fiore velenoso.

Un manipolatore seriale è colui a cui non importa una benemerita cippa di voi, ma questo non ve lo verrà mai a dire tranquilli, ciononostante vi terrà comunque nella sua ristretta cerchia di persone a cui attingere in caso di necessità o di noia. Un manipolatore seriale infatti ha estremo bisogno di voi, per ottenere ciò che gli serve, per fomentare il suo ego, per sfogare la sua rabbia repressa, ma di base non vi vuole bene. Siete come un oggetto che brama se gli viene tolto, e che ignora se è a disposizione (sempre se non necessita l’utilizzo).

Il manipolatore (o manipolatrice, ovviamente) è talmente scaltro nel vestire i panni di chi realmente non è, che infondo nemmeno lui è cosciente di chi è davvero, e proprio per questa sua inconsapevolezza, può rivelarsi letale.

Si comprendere di essere finiti nelle mani del manipolatore seriale solo quando ormai è riuscito a distruggerci dentro, nel profondo, e si riesce a capire che ciò è accaduto semplicemente perchè la nostra vita ha cominciato a disintegrarsi proprio il giorno stesso in cui l’abbiamo conosciuto. L’incubo comincia con l’incontro del Soggetto, chiamiamolo in queso modo (per essere gentili), dove lui si pone in modo amichevole e divertente. Come un felino nella savana che osserva la preda, il Soggetto passa i primi tempi a tenerci d’occhio, restando a dovuta distanza, ma non troppa per non farci dimenticare della sua esistenza, ed aspetta il momento giusto per attuare il suo piano. Inizialmente simpatico, gentile e socievole il manipolatore ci mette a nostro agio, ride e scherza con noi, ci fa sentire importanti appoggiando il nostro pensiero in svariate occasioni, si fa spesso sentire anche via messaggio, insomma, a vederla così sembra proprio una persona normale con un bel carattere. All’apparenza sprezzante del giudizio altrui, con modi di fare e stile alternativo, il Soggetto ci conquista, sa bene che l’ironia è fondamentale per piacere agli altri, infatti non manca nell’essere divertente facendo battute riguardanti il contesto in cui ci troviamo ed a volte inerenti a qualche aspetto, da lui considerato buffo, della nostra persona. Di certo è una persona affascinante, per il suo modo di essere misterioso, ed anche originale, diversa dagli altri, ma in modo positivo! (così sembrerebbe). Il tempo passa ed il legame con il pazzo diventa più stretto, cominciamo a fidarci di lui ed a raccontargli qualche piccolo segreto, qualche trauma dell’infanzia, qualche punto debole, e qualche difetto che troviamo in noi stessi e che proprio non ci va giu. Gli mostriamo la nostra parte fragile, nella certezza di essere compresi, infondo, ci ha sempre compreso negli altri contesti, nella spensieratezza gli facciamo vedere chi siamo realmente, parlandogli delle nostre passioni, dei nostri sogni, gli consentiamo di leggerci come se fossimo un libro aperto. Il soggetto però, è restio nel fare altrettanto, usa la scusa di essere un buon ascoltatore più che un bravo oratore, e ci lascia parlare, raccontandoci ben poco di lui. A questo punto il gioco è fatto. Lui sa esattamente cosa ci ha ferito in passato, sa cosa ci ferisce nel presente, sa quali sono i nostri punti deboli, sa quali sono i nostri sogni e quindi sa come farci sentire dei falliti. Il gioco comincia con il senso di colpa: si discute di qualcosa, ci arrabbiamo, scende il silenzio, lui sparisce, è colpa nostra. Quell’aspetto del nostro carattere (che noi gli avevamo raccontato come difetto) è stata la causa della litigata, non ci risponde perchè non ha niente da dire (gli avevamo detto che detestiamo litigare e non chiarire subito), sparisce per settimane e si guarda bene dal farci gli auguri di buona pasqua (sa quanto noi teniamo alle festività). Il Soggetto crea distacco per farsi rincorrere, un gioco vecchio come il mondo, ma il senso di colpa ha la meglio sulla nostra lucidità mentale, e come burattini, giochiamo! Dietro al suo essere sprezzante dell’opinione altrui, ed all’apparente originalità, il soggetto ha autostima zero. Non avendo autostima ha l’estremo bisogno di distruggere quella altrui, per portare gli altri al suo livello, per innalzare il proprio ego. E questo è quello che capita. Col passare del tempo ci sentiamo sempre più sbagliati, sempre più deboli, soli. Non ci riconosciamo più, abbiamo dubbi su tutto, sul nostro aspetto, sul nostro modo di vestire, sugli amici, sul nostro operato al lavoro. Dubbi esistenziali su tutto. Il soggetto se ne accorge, del nostro malessere, ma non fa nulla per consolarci o aiutarci a ricostruire la nostra autostima. Presenzia, ci ascolta (non si sa mai che gli diamo qualche altro indizio su ulteriori nostri punti deboli non ancora a sua conoscenza), ma poi quando abbiamo bisogno davvero di lui, lui ha di meglio da fare, o perde il telefono, o rimane a cena dalla nonna che gli ha fatto le lasagne, cavolate del genere insomma. Ora che ci ha distrutto può darci il colpo di grazia, ed incolpandoci del fatto che siamo sempre la causa delle nostre liti, ci abbandona e se ne va sparendo in un silenzio devastante. Abbandonarci lo fa sentire potente. Il suo obiettivo è stato raggiunto. Il suo ego esulta trionfante.

Raschiato il fondo del barile, ci rialziamo e decidiamo di ricominciare a vivere stando il più possibile lontano da lui, e ci riusciamo ma… proprio sul più bello, quando avevamo ricominciato a respirare, eccolo che torna! Con la scusa di sapere come stiamo, di aver rivisto un vecchio amico in comune, con la scusa che gli manchiamo, il Manipolatore torna… ma solo per un motivo: accertarsi che noi NON siamo felici senza di lui. Lui ha bisogno di sapere che soffriamo per lui, perchè è l’unico modo che ha per fomentare il suo ego che grida attenzioni, perchè in assenza di sana autostima, solo l’ego fa da padrone. Se decidiamo di perdonarlo, qualche settimana dopo, non appena avremo abbassato la guardia, sparirà di nuovo nel nulla. E così farà esattamente tutte le volte: tornerà a cercarci, lo perdoneremo e soddisfatto dell’importanza che gli avremo dato sparirà di nuovo.

Magari alcune volta sembrerà disperato, perchè senza di noi non riesce a stare, o ci dirà che torna per un motivo, perchè ci tiene. Ma non è così. Siamo solo uno strumento. Siamo solo un’autostima da scalfire per innalzare il suo ego personale. Siamo solo un gioco da ripescare nei momenti di noia, o quando qualcuno più furbo di lui l’ha fatto sentire inferiore. Per lui non siamo niente. NIENTE. Siamo solo la medicina per guarire il suo ego malato, siamo il tasto da schiacciare per spegnere la sua sofferenza autoindotta, a cui non troverà cura.

L’unico modo per sopravvivere ai manipolartori seriali è riconoscerli e scappare, esattamente come faremmo se fossimo in mezzo alla savana e sentissimo il ruggito di un leone.

Non dobbiamo arrabbiarci però, la rabbia fa male alla salute! Dobbiamo imparare a vedere le cose esattamente per ciò che sono. Il manipolatore è una persona malata. Non ci ama perchè non ne è capace a causa della sua inesistente autostima. Egli infatti non ama nemmeno se stesso, come potrebbe amare qualcun altro? Il manipolatore ha senz’altro bisogno di aiuto, ma non del nostro, noi non possiamo salvarlo, e dobbiamo farcene subito una ragione e scappare. Lui stesso è l’unico a potersi aiutare, parlandone con un medico, sempre nel caso in cui se ne renderà conto, di avere questo problema, ma è una cosa molto improbabile. Non dobbiamo arrabbiarci. Dobbiamo comprendere che si sarebbe comportato nello stesso identico modo anche se fossimo stati i più belli, più intelligenti, più sportivi, più colti, più ricchi del mondo, perchè il problema non siamo MAI stati noi. Il problema è nella sua testa.

Non arrabbiamoci, prendiamo un bel respiro di sollievo, ed andiamo avanti per la nostra strada, il mondo a volte è ostile, ma altrettante volte è pieno di persone stupende e sane di mente che amano se stesse e amano davvero anche gli altri. Respiriamo ed andiamocene a testa alta. Siamo perfetti così come siamo, con i nostri difetti che ci rendono unici. E se per sbaglio ci voltiamo indietro, guardiamo il passato e a questa persona con occhio compassionevole. Se non faremo l’errore di perdonarla, tutto questo inferno non accadrà più!

Riferimenti a cose o persone sono puramente casuali.

I wandered lonely as a cloud
That floats on high o’er vales and hills,
When all at once I saw a crowd,
A host, of golden daffodils;
Beside the lake, beneath the trees,
Fluttering and dancing in the breeze.

William Wordsworth

Questi sono gli unici Narcisi che voglio rivedere nella mia vita.

₁₇ Matematica emotiva.

L’unica costante della tua vita, sarai tu.

Ci speri, che tutto sia per sempre, eppure ogni giorno lo vedi, che le cose non stanno così. Ogni giorno qualcosa cambia, e tu, abituato a tutto questo trambusto ti adatti, rassegnato di fronte al fatto di non poter prevedere l’imprevebile. Rassegnato perché ci provi a stare tranquillo, scavandoti una tana in quell’abitudine, ma qualcosa va storto, sempre. E’ la variabile, come in matematica, quella che se dovevi calcolarla erano grida soffocate, è la variabile, quella che fa andare tutto storto. Modelli te stesso intorno al mondo che ti circonda, a tal punto da sentirti grande come il mondo, pagandone però il prezzo con la tua anima. Fai di tutto per adattarti a qualcosa che non resterà. Perché non hai ancora compreso, che tutto è variabile, tutto cambia, tutto nasce e tutto muore, ma che questo tutto, che tu vedi con i tuoi occhi, ruota intorno ad un’unica costante, te stesso. Tu pensi, tu scegli, tu guardi la tua vita, e tutto ciò che la rappresenta ti ruoterà attorno, finché un giorno non te ne andrai, ed allora non avrà più importanza, ed allora smetterà di ruotare. Tu sei l’unica costante che hai, nella tua vita, eppure non ti presti abbastanza attenzione, ha più importanza quel pezzo di mondo, che c’è oggi ma domani chissà. Tu sei l’unica certezza che hai, ma allora perché ti abbandoni, perché permetti al mondo di lacerarti la pelle, perché non ti proteggi? Tu sei l’unica persona che hai, e allora perché rinunci a te stesso per qualcuno che magari domani se ne andrà? perché metti tutto il mondo prima di te, e dimentichi che l’unica cosa che conta davvero nel tuo mondo, sei proprio tu? Perché dici che ci provi, ma alla fine non ti ami mai abbastanza?

L’unica costante della tua vita, sarai tu.

Amati, proteggiti e supportati, perché infondo lo sai, che sei l’unico in grado di farlo per sempre.

– Ma tu mi ami? chiese Alice.
– No, non ti amo rispose il Bianconiglio.
– Alice corrugò la fronte ed iniziò a sfregarsi nervosamente le mani, come faceva sempre quando si sentiva ferita.
– Ecco, vedi? – disse Bianconiglio – Ora ti starai chiedendo quale sia la tua colpa, perché non riesca a volerti almeno un po’ di bene, cosa ti renda così imperfetta, frammentata. Proprio per questo non posso amarti. Perché ci saranno giorni nei quali sarò stanco, adirato, con la testa tra le nuvole e ti ferirò. Ogni giorno accade di calpestare i sentimenti per noia, sbadataggine, incomprensione. Ma se non ti ami almeno un po’, se non crei una corazza di pura gioia intorno al tuo cuore, i miei deboli dardi si faranno letali e ti distruggeranno. La prima volta che ti ho incontrata ho fatto un patto con me stesso: mi sarei impedito di amarti fino a che non avessi imparato tu per prima a sentirti preziosa per te stessa. Perciò Alice no, non ti amo. Non posso farlo”

“Alice nel Paese delle meraviglie”

₁₆ La Buddhana

Cosi si diverte a chiamarmi una cara amica. Dice che sono un po’ Buddha ed un po’ puttana. Lei l’ha capito prima di me, di che pasta ero fatta, e credo che se non fosse stato per la sua velata follia e per il suo incosciente credere nelle mie qualità, ad oggi non l’avrei ancora capito. Puttana solo perchè si abbina bene al contrasto con il nome Buddha. Il vero significato da intendersi è stronza, malvagia, dalla mente malata, astuta, marcia dentro.

Ecco, in poche righe sono sicuramente riuscita a distruggere l’immaginario che vi eravate fatti di me, leggendo il mio blog, ma infondo, io sono qui per questo, per raccontare i miei pensieri senza addosso la mia stupida corazza. Sono qui per questo, per togliermi la maschera e mostrarmi per ciò che sono, che mi accettiate o meno, resta un vostro problema. Di certo non ci dovete convivere con me, a differenza mia!

Ho la mente psicotica ma per lo meno mi fa un sacco ridere. Come quella volta che, meditando vendetta, mi aveva suggerito di geo-localizzare l’auto della “vittima”, di infilare nella sua marmitta uno straccio bagnato per tapparla, e di aspettare il momento della disfatta, momento in cui, secondo i suoi calcoli malati, sarebbe scoppiato il motore, destando scompiglio e creando problemi a chi di dovere. La mia mente suggeriva di agire così, ma poi ci ho pensato e mi sono chiesta se era questo ciò che volevo donare al mondo, una marmitta bruciata, ed ho cambiato idea. Il mio lato da Buddha mi ricorda sempre una cosa: che sono ciò che decido di lasciare nel mondo, così seppur tentata, ed in certi casi meno estremi quasi sul punto di agire, lascio perdere e lascio che sia il tempo a fare il lavoro sporco per me. La ruota gira, o no?

Forse è proprio questo quello che si intende per consapevolezza, il permettere alla mente di sproloquiare, ma scegliere di agire nel giusto, anche se spesso risulta davvero difficile.

Un amico con cui tempo prima avevo discusso, a causa degli innumerevoli sgarri che mi aveva fatto, nel momento della rappacificazione è rimasto diffidente. Mi conosce bene e sa che dietro al mio perenne sorriso si nasconde un mostro con le zanne. Credo che per mesi abbia dormito con un occhio aperto, alla fine l’ha persino ammesso, quando ormai aveva capito che non lo avrei accoltellato nel sonno, di aver avuto paura di una mia eventuale vendetta servita fredda. L’ho stupito, e a dirla tutta, un po’ ho stupito anche me stessa.

Mi occupo di vendita. Ho letto parecchio in merito, sia alle tecniche di vendita che alla persuasione, ed ho compreso che dietro ad ogni vero venditore, ci sta sempre una brutta persona! Se non hai la mente diabolica, non sarai mai un bravo commerciante. L’empatia è un requisito fondamentale che deve stare alla base della formazione, e seppur si creda che essa sia una dote innata, devo rettificare. Si può imparare ad essere empatici, o per lo meno, a fingere di esserlo. Un bravo venditore è in sè un bravo manipolatore mentale, e l’empatia gioca un ruolo fondamentale in questo. Io per mia natura lo sono sempre stata, empatica, ed ho sempre usato questa dote per evitare quelle imbarazzanti situazioni che si creano quando ci si ritrova da soli con un estraneo, sdrammatizzando con una battuta o rivolgendo domande conoscitive. Fatto sta però, che per lavoro, io debba sfruttare questa mia qualità a vantaggio della vendita, e vi dico, funziona. Più instauro un legame con il cliente, più questo si fida e compra, più infondo mi sento in colpa, perchè seppur per lavoro, io lo sto manipolando. Rendermene conto allevia la mia pena? Buddha o Buddhana?
Per quanto potrei trarne vantaggio, in tutti i campi, di questa mia “formazione”, cerco sempre di tenerla il più lontano possibile dalla mia vita, mi impegno nell’ agire in modo corretto e sempre senza secondi fini, seppur a volte pare che la mia mente sia nata per quello, per essere scaltra, egoista, approfittatrice.

E quindi, quando una povera donna ha la mente malvagia, ma cerca in ogni modo di agire con raziocinio, come dovrebbe definirsi? Chi sono realmente? Quella che premedita l’esplosione della tua auto, o quella che si siede sulla riva del fiume aspettando il tuo cadavere? O forse sono quella che ti lascia nel tuo brodo e va per la sua strada? Chi sono io, realmente?

Buddha o Buddhana? Forse questo non lo capirò mai..

Se, però, volete imparare anche voi ad essere brutte persone, ho il libro giusto da consigliarvi!

Come trattare gli altri

e farseli amici

₁₅ Nasciamo a mani vuote.

Senza niente da offrire al mondo. Scommetto che anche voi, come me, ve lo siete dimenticati, di essere arrivati sulla terra senza portare alcun dono, se non una gran gioia ed allo stesso tempo un’enorme zavorra ai nostri genitori. Probabilmente non lo ammetterebbero mai, di essere arrivati all’esaurimento grazie ai nostri pianti, di essersi anche solo per un giorno pentiti di averci messo al mondo, di essersi chiesti sotto che tipo di droga allucinogena fossero quel giorno in cui l’hanno deciso, di essere genitori, eppure nonostante ciò, ci hanno accolti ed ognuno a modo suo, ha cominciato a regalarci qualcosa. In cambio, per almeno i primi dieci anni della nostra vita, non abbiamo potuto fare altro se non dargli il nostro affetto incondizionato, che infondo era l’unica cosa desiderata da loro ancor prima di conoscerci.

Gli anni passano, la nostra cerchia di conoscenze si allarga, all’asilo facciamo le prime amicizie e le prime litigate, si va a scuola e si lega solo con alcuni compagni, si discute in famiglia, non ci si capisce con i colleghi a lavoro. Dall’essere abituati al semplice ricevere, arriva un momento in cui comprendiamo che esiste anche il togliere, il meritare, il ricambiare, e da questa presa di coscienza nascono la paura e la brama. Più cresce il desiderio di possedere ulteriori cose e di essere amati incondizionatamente, più aumenta la paura che arrivi qualcuno a toglierci quel qualcosa. Cominciamo a dare solo nella certezza di poter ricevere, dimenticandoci del tutto di essere arrivati qui a mani vuote. L’aspettativa di ricevere qualcosa si radica così bene in noi che ad un certo punto fatichiamo a rendercene conto, spesso si radica nell’inconscio, e proprio per questa celata aspettativa, la maggior parte delle volte restiamo delusi da un evento (o da un non evento) senza comprenderne il motivo. Forse inconsciamente, dalla nascita, siamo stati così abituati a ricevere che ci sentiamo giustificati nel pretenderlo, questo qualcosa. Ringhiamo ferocemente non appena qualcuno cerca di portarci via qualcosa, persino la ragione, quando discutiamo con qualcuno, come si permette di farci sentire in torto? Non può portarci via la verità del nostro pensiero. Facciamo cose perché sappiamo che ne avremo altre in cambio: lavoriamo in un posto che non ci piace perché in cambio avremo soldi, parliamo con la vicina di casa che non sopportiamo perché se arriva il corriere gli apre il cancello, ascoltiamo le lamentele della nostra amica perché non si sa mai che un giorno saremo noi ad aver bisogno di lei, diamo ragione al nostro titolare perché magari ci darà un aumento. Facciamo tante cose perché abbiamo un obiettivo, ricevere qualcosa in cambio. Eppure quando siamo arrivati sulla terra abbiamo avuto il palese esempio di quanto si possa ricevere senza pretendere nulla.

Un idiota un giorno mi ha detto che mi aspettavo troppe cose da lui. Aveva ragione. Lui con me aveva sbagliato, mi aveva portato via tanta felicità, mi aveva tolto l’entusiasmo di vivere che la vita mi aveva regalato fin da piccola, non mi aveva dato nulla se non bastonate seppur io cercassi in ogni modo di buttargli amore addosso. Io mi aspettavo troppo perché, in cambio, gli avevo regalato il mio perdono. Io mi aspettavo troppo perché non avevo del tutto compreso quanto fosse idiota. Che ce lo si aspetti o meno, ciò che deve (o non deve) accadere, accade. La differenza sta solo nella delusione finale. Così ho capito, nel profondo del mio cuore pretenzioso, che avrei dovuto smettere di aspettarmi qualcosa, che avrei dovuto accogliere ciò che sarebbe arrivato come una foglia abbraccia il vento che la solleva. E nello smettere di ambire a qualcosa, ciò che era destino accadesse, si è manifestato: Il nulla.

Nasciamo a mani vuote e pretendiamo di ricevere sempre e comunque qualcosa, ma forse in certe occasioni è proprio il nulla ciò che dobbiamo riscuotere. Chissà che certe cose non accadano per insegnarci a vivere per il gusto di essere vivi, a fare per il semplice piacere di fare, a dare amore per alleggerirci il cuore, a donare per vedere qualcuno essere felice.

Infondo, prima o poi da qui ce ne andremo tutti, nello stesso modo in cui ci siamo arrivati, a mani vuote. Tutto ciò che possediamo resterà qui, tutto ciò che abbiamo costruito rimarrà qui, tutto ciò che abbiamo amato resterà qui, che lo si voglia o meno, ma ci sarà solo una piccola cosa a fare la differenza, una cosa che ci appartiene e che verrà con noi, ma che, se avremo capito bene il concetto della vita, avremo sempre potuto regalare senza rimanerne mai senza: il nostro cuore.

Quindi regaliamolo, il nostro cuore, senza aver paura di restarne senza. Infondo, sarà l’unica cosa che ci porteremo appresso e di cui, forse, qualcuno ne sentirà davvero la mancanza.

‘’Quando due anime infine si sono trovate, si sono scoperte compatibili e complementari, hanno compreso di essere fatte l’una per l’altra, di essere, dunque, simili, si stabilisce tra loro per sempre un legame, ardente e puro, proprio come loro, un legame che inizia sulla terra e continua per sempre nei cieli.’’

carolina_zuniga_artworks

₁₄ Dhammapada

Se lo dici velocemente per dieci volte consecutive senza sbagliare diventi un Buddha.

Oggi vi parlo, in chiave ironica altrimenti rischiamo il suicidio di massa, di quest’opera assai nota che espone sotto forma di strofe poetiche i concetti fondamentali del buddhismo antico.

Un giorno un tizio, il cui nome era Siddhartha (da non confondere con Frank Sinatra!), all’età di 29 anni, decise di non voler più vivere nella sua maestosa reggia (era un principe) e di non voler più nemmeno essere ricco, così mollò tutto, moglie e figlio compresi, per vagare tra la sofferenza. Dopo sei lunghi anni passati da pezzente, al cui termine si ritrovò in punto di morte a causa della rigida ascesa fatta di digiuno e di macerazione fisica, comprese che forse aveva un po’ esagerato, così decise di tentare una terza via, quella nel mezzo tra estrema ricchezza e assoluta povertà, suo malgrado però, anche se la via era nel mezzo, non vi ci trovò Dante, e di questo, non lo ammise ma si sa, ne rimase assai deluso. Dopo essere stato sfamato da una bella ragazza, ed aver fatto un bel bagno in un fiume, sotto gli occhi indignati dei suoi cinque fedeli compagni che avevano passato gli ultimi anni nelle foreste con lui, Siddhartha si sedette a meditare sotto una grande pianta di Ficus religiosa. Durante la notte, egli aveva infatti deciso di campeggiare proprio in quella location suggestiva, consegui la “bodhi”, ossia l’illuminazione. La cosa che, certamente, lo rese più felice fu il fatto di poter cambiare il suo nome in Buddha, in quanto gli era sempre risultato difficile ricordare la corretta posizione delle H all’interno del suo nome Siddhartha, inoltre, per rendergliela ancora più semplice, gli amici lo chiamavano anche “il risvegliato”, ma a lui non piaceva molto questo secondo appellativo, spesso pareva risuonasse in maniera ironica.

La dottrina delle Quattro Nobili Verità

Il Buddha comprese che esistono quattro fondamentali verità per eliminare la sofferenza dalla nostra vita, quattro semplici concetti da comprendere e seguire per trovare la pace eterna, si tratta di queste:

  1. La Verità del dolore – Il punto di partenza è il riconoscimento del fatto che tutta la vita è dolore. Ma dai? In trent’anni non me ne ero proprio accorta! Lui ci spiega che la motivazione della sofferenza è che l’esistenza non è un’ alternanza di gioia e dolore, ma è tutta sofferenza perchè anche le esperienze apparentemente piacevoli, essendo impermanenti, finiscono per deluderci generando altro dolore. Evviva il pessimismo!
  2. La Verità dell’origine del dolore – l’origine del dolore si identifica con la brama che ci incatena al ciclo della reincarnazione.
  3. La Verità della cessazione del dolore – per eliminare la radice della sofferenza è necessario sradicare la brama che è il fattore responsabile della continuazione dell’esistenza. Lo stato che ne consegue è la suprema estinzione, il Nirvana.
  4. La Verità della via che conduce al superamento del dolore – per conseguire il Nirvana bisogna seguire la via che conduce al superamento del dolore, ossia Il Nobile Ottuplice Sentiero, costituito da otto rettitudini (retta visione, retto pensiero, retta parola, retta azione, retto modo di vita, retto sforzo, retta consapevolezza, retto raccoglimento)

A questo punto credo che, tralasciando l’immensa difficoltà nel mettere in pratica le 8 rettitudini, secondo il Buddha l’unico modo per smettere di soffrire sia fare di tutto per raggiungere il Nirvana, ossia la suprema estinzione, ossia il nulla cosmico dopo la morte… quindi se ho compreso bene il significato delle sue parole sarebbe un po’ come dire “ok, smettila di soffrire, perchè se ti fai il mazzo per tutta la vita, alla fine, quando giungerà la morte, tu cesserai completamente di esistere, il tuo cervello si spegnerà e tu non sarai più niente.” Questa filosofia di pensiero dona poca speranza. La fine della sofferenza corrisponde alla fine del tutto. Ho sempre creduto che la religione insegnasse ad avere fede, in Dio, nella vita dopo la morte, in un paradiso in cui riposare nella gioia. Il mio amico Siddhartha mi ha sconvolto. Infatti il buddhismo non è una religione. Ora sono confusa, perchè sento che dentro di me esiste un desiderio di esistere per sempre, di voler continuare ad avere l’esperienza della vita per l’eternità, d’altra parte però mi chiedo quante altre vite sarei disposta a percorrere. Forse questa è l’ultima di chissà quante vite ho avuto in precedenza, dovrei forse ambire al Nirvana? O, infondo, non mi sono ancora stancata di conoscere gente e visitare posti nuovi?

Secondo le parole del Buddah, il nostro “spirito” (per modo di dire, perchè nella filosofia buddista non esiste il concetto di anima) è soggetto alla reincarnazione, ciò avviene in seguito all’accumulazione di karma positivo o negativo durante ogni vita. La parola Karma significa “azione” e non indica tanto un atto in sé, quanto l’azione che lo determina. Il “frutto” matura solo se l’azione è stata compiuta volontariamente: l’azione buona matura in un frutto buono, l’azione cattiva matura in un frutto cattivo. Ciò che viene fatto intenzionalmente genera dunque un seme karmico che prima o poi si svilupperà una volta trovate le condizioni necessarie. In questa o nella prossima vita. Condurre un’esistenza umana è la massima ambizione per la nostra “anima” che nelle proprie vite precedenti potrebbe essersi trovata nel corpo di un animale, oppure sotto forma di spirito, o di divinità, questi ultimi due sia in versione benigna che maligna. Fatto sta che, secondo l’opinione del Buddha, l’unica occasione che la nostra “anima” ha per raggiungere il Nirvana sia attraverso la vita in un corpo umano.

Paticcasamuppada o Pratitysamutpada

Se lo dici velocemente per dieci volte senza sbagliare raggiungi immediatamente il Nirvana

Questa serie di lettere sconclusionate sono il frutto della notte che il Buddha passò campeggiando sotto il ficus. Traducendo, il significato corrisponde alle parole “coproduzione condizionata”. Altro miscuglio di lettere che non mi dice niente.
E’ la dottrina che vuole rispondere alla domanda sul perché si viva e si vada incontro al dolore ed alla morte, ed è da immaginare come una catena di dodici anelli che si influenzano a vicenda senza però un vero e proprio rapporto di causa ed effetto, sono, piuttosto, interdipendenti ed in una certa misura simultanei. Proprio grazie a questa proprietà, non è possibile risalire alla creazione, al fattore scatenante, di questo processo, e quindi siamo fregati!! Ah no, una soluzione c’è, abbandonare tutti gli attaccamenti, anche l’attaccamento alla morte ed alla nostra vita stessa, e morendo raggiungere il Nirvana. Quali sono questi anelli?

  1. Ignoranza
  2. coefficienti
  3. coscienza
  4. nome-e-forma
  5. i sei sensi
  6. il contatto
  7. la sensazione
  8. la brama
  9. l’attaccamento
  10. il divenire
  11. la nascita
  12. vecchiaia-e-morte

Scrivo questo elenco e più progredisce il numero, più aumentano le mie convinzioni che la salvezza non la vedrò mai. Chissà, a questo punto cercherò di ambire ad essere almeno una pianta nella prossima vita, e non un demone. Una cosa è certa, nel Nirvana ci si deve stare davvero comodi, perchè abbiamo palese testimonianza che l’ignoranza è chi se la porta appresso restano sulla terra!
Comunque no, nel Nirvana non ci si può stare, non è un posto..

Concludo questo sproloquio buddista con una perla, che se Siddhartha fosse qui mi prenderebbe a sberloni:

Tra genio ed idiozia, il Buddha ti mostra la via!

Concetti a parte, consiglio vivamente la lettura di questo testo poetico, che risulta piacevole e facilmente comprensibile grazie alle spiegazioni della traduttrice Genevienne Pecunia.

Dhammapada


“Come una dura roccia non è mossa per effetto del vento, così in mezzo si rimproveri e Lodi non si lasciano scuotere i saggi

Proprio come un lago profondo é limpido e tranquillo, così ascoltando le dottrine del Dharma i saggi sono completamente appagati.”

₁₃ Ego vs Autostima

Ego ed autostima sono spesso confusi tra loro. Venendo a conoscenza di questo disguido, Lui, l’ego, ne sarebbe estremamente orgoglioso, di essere scambiato per l’autostima, viceversa Lei ne rimarrebbe certamente molto turbata.

Devo essere sincera, inizialmente li ho confusi anche io, e me ne rammarico, perché spesso lavorando per rafforzarne uno, l’altra veniva a mancare. Ma in cosa differiscono esattamente?

Immagino l’autostima come una casa da costruire. Non si può certo pretendere che sia robusta, se innalzata in breve tempo. L’autostima e le case, infatti, hanno bisogno di essere create mattone dopo mattone, comprendendo le caratteristiche fondamentali che devono essere poste alla base, per poi dedicarsi, pezzo dopo pezzo, alla completa costruzione, senza omettere nulla. La casa, e l’autostima, in questo modo, saranno in grado di resistere ad ogni genere di intemperia, meteorologica e mentale.

L’ego invece lo immagino più come un barbecue. Bastano un po’ di carbonella, qualche spruzzo ed un fiammifero per accenderlo, se fomentato con dell’ossigeno divampa, ma allo stesso modo è facile spegnerlo, eliminando una delle tre componenti di base, oppure gettandogli semplicemente dell’acqua sopra. L’ego infatti è molto facile da innescare, ha però necessità di continue attenzioni per rimanere infiammato, ed è estremamente facile da estinguere. A differenza del barbecue, che una volta spento giace rilassato, l’ego prova disagio di fronte ad una mancanza di attenzione, e così scatena sofferenza estrema in chi se lo portava appresso.

Questi paragoni parecchio bizzarri possono concludersi con un altrettanto strambo confronto: A volte non basta uno Tsunami per abbattere una casa, ma basta un secchio di acqua per spegnere un fuoco, e così anche per Autostima ed Ego, non bastano una valanga di delusioni per annientare una grande e sana autostima, ma bastano poche critiche per distruggere un forte ego.

Le differenze sostanziali che nell’esperienza ho potuto riconoscere tra Lui (ego) e Lei (autostima) sono essenzialmente queste:

  • L’autostima si basa sulla nostra personale opinione, l’ego sull’opinione altrui.
  • L’autostima è il frutto dei nostri sforzi fisici e mentali, l’ego cresce o cala in base alla recensione che gli altri hanno dato al nostro operato.
  • L’autostima è amor proprio, l’ego è amore che ci aspettiamo di ricevere da altri in seguito a nostre azioni.
  • L’autostima si accompagna di emozioni positive: gioia, felicità per i successi altrui, desiderio di pace, ricerca di discussioni costruttive. L’ego si porta appresso emozioni negative: negatività, rabbia per non aver ottenuto il risultato desiderato, orgoglio nelle discussioni la cui conclusione non era affine al proprio pensiero, rancore, malcontento di fronte ai successi altrui.
  • L’autostima apprezza i complimenti e le critiche, ne fa tesoro, ma si lascia attraversare da essi. L’ego vive per i complimenti e detesta le critiche, ne assimila tutto il contenuto, e basa la propria concezione di sé in base a questi. Più sono i complimenti, più si sentirà grande, più sono le critiche, più soffrirà sentendosi piccolo.
  • L’autostima non scredita nessuno, non si pone né al di sopra né al di sotto degli altri, perché sa che ognuno ha i propri punti di forza e di debolezza. L’ego si pone al di sopra di tutti, non tende mai la mano, gioisce degli insuccessi altrui, ed esibisce orgogliosamente i propri, fomentato dalla vanità.
  • L’autostima ricerca certezze nelle radici di ciò su cui si basa. L’ego è certo di quello che vive, perché gliel’hanno detto.
  • L’autostima, di fronte ai propri sbagli, prova delusione e desiderio di comprendere e migliorare, e per questo non ha paura di chiedere scusa. L’ego non comprende i propri sbagli, se li nota fatica ad accettarli, e non si azzarda nemmeno a pensare di chiedere scusa.

L’elenco potrebbe risultare abbastanza esplicativo, non voglio dilungarmi troppo su questi aspetti, quanto più su un dettaglio di fondamentale importanza per questo confronto. Proprio per la quantità di tempo che richiede la sua costruzione, l’autostima non è mai inizialmente alta, tutt’altro, credo che si nasca praticamente senza. L’ego invece nasce con noi e con il nostro apprendere la parola “io” e “mio“. Fin da molto piccoli facciamo i capricci se qualcuno si appropria di un nostro gioco, mettiamo il broncio se veniamo sgridati, urliamo a squarciagola se non otteniamo le caramelle che vogliamo, piangiamo se non riceviamo attenzioni, questo è l’Ego. Crescendo prendiamo sempre più coscienza di ciò che siamo esternamente, cosa assai gradita da Lui, ci dedichiamo al nostro aspetto esteriore ed agli oggetti che possediamo, cerchiamo di farci amici i più fighi della classe, alziamo la voce con le persone più timide, ma quando poi qualcuno ci fa una critica, o giungono alle nostre orecchie voci di corridoio sul nostro conto, crolliamo e ci ritroviamo arrabbiati e piagnucolanti, inermi e sconsolati. Prima l’ottenere buoni voti grazie allo studio, avere successo nel nostro sport preferito, e poi trovare un bel lavoro sono il primo mattone per la costruzione della nostra autostima, che fino ad allora era rimasta nascosta. Conseguire risultati dopo svariati sforzi ci permette di comprendere che oltre al nostro aspetto estetico c’è di più, ma questo non basta ad abbattere il nostro amico Ego, che è sempre pronto ad essere fomentato. Crescendo, il numero di veri amici si riduce, lasciando ampio spazio ai “nemici” che a loro volta, con il proprio ego, cercano di metterci i bastoni tra le ruote per rallentarci nel nostro percorso. Arrivano le prime critiche, dai genitori, perché non siamo come loro avevano immaginato (o come loro, punto e basta), dai professori o dal datore di valoro, dai colleghi, dai compagni di sport, da chi avevamo ritenuto essere nostro amico. Le critiche abbattono l’ego, che comincia a piangersi addosso, senza però cercare vere e proprie soluzioni. Se nel frattempo avevamo cominciato a lavorare sulla nostra autostima, questa verrà in nostro soccorso, ci darà la spinta giusta per riflettere sia sul nostro operato che su quanto detto dagli altri, mettendoci in discussione impareremo dai nostri eventuali sbagli ed archivieremo, al contrario, le critiche che ci sono state fatte in modo gratuito e controproducente. L’ego infatti mira a criticare solo per sminuire, e non per un fine positivo. L’amore per se stessi, per i propri punti di forza, e con il tempo anche per le proprie debolezze, comincia a crescere, e con il passare del tempo tutto ciò che prima era l’apparenza a cui tenevamo tantissimo, lascia spazio alla sostanza in cui crediamo tantissimo. Si, perché l’autostima fa anche questo, ci permette di credere in noi stessi, nel nostro potenziale, alle nostre sole forze, e non ha bisogno di avere qualcuno che fa il tifo per noi, l’autostima, a differenza dell’ego che continua a sperare, comincia a credere!

Credere di essere in grado di fare tutto non è però indice di successo, è indice di presenza di ego! Credere di avere la forza di provare a fare una cosa, e di rialzarsi nel caso in cui si fallisca, è autostima! L’autostima infatti mette sempre in dubbio se stessa, e ricerca conferme, come un mattone ha bisogno di calce, così Lei ha bisogno di conferme, ma solo da fatti reali e non da opinioni, e così con il tempo e le certezze si costruisce.

Concluderei questa prima parte di questo confronto (eh si è solo la prima, perché c’è tanto altro da dire) raccontandovi di un piccolo trucchetto che ho appreso per riconoscere quando si tratta di Lui (ego) o di Lei (autostima), è necessario porsi solo qualche piccola domanda.

  • Cosa provo in questo momento?
  • L’emozione che provo è positiva o negativa?
  • A quale pensiero o evento è dovuta questa emozione?
  • Si tratta di un’opinione verbale o di un fatto accaduto?
  • Se è un’opinione, di chi è e su che cosa si fonda?
  • Se è un dato di fatto, avrei potuto agire diversamente?
  • Ho fatto il meglio che potevo?
  • Cosa provo adesso?

Se alla fine di questo breve dialogo interiore, proverete emozioni negative (rabbia, orgoglio, rancore, negatività) vorrà dire che avrete parlato con il vostro ego. Archiviate momentaneamente l’argomento e riprovateci qualche giorno dopo, a mente fredda. Se alla fine di questo breve dialogo interiore, proverete emozioni positive (risolutezza, sollievo, gioia, amore) vorrà dire che avrete parlato con la vostra autostima, e che probabilmente, se così fosse, quel qualcuno non è riuscito a colpirvi con il suo ego come desiderava, perché il vostro stava dormendo ed a schivare il colpo ci ha pensato Lei.

Di fronte ad una qualunque critica l’autostima si mette in dubbio, ma poi si ricorda che l’unica bocca a cui dare ascolto è la propria.

  • Chi ci critica gratuitamente dimostrando scarsa empatia ha senza dubbio un grande ego e molto poca autostima.
  • Chi non perde l’occasione di farci sentire a disagio, ha senza dubbio un forte ego insicuro e una veramente scarsa autostima.
  • Chi scredita il nostro operato per avvalorare il proprio ha senza dubbio un ego estremamente insicuro ed una veramente piccola autostima
  • Chi gode dei nostri insuccessi, delle nostre difficolta, della nostra sofferenza ha senza ombra di dubbio un’ego esagerato ma estremamente fragile, ed una inesistente autostima.

Quindi se qualcuno ti critica non prendertela, l’ego cerca, riflette e butta se stesso negli altri, cerca lo scontro perché da solo non si basta, solo chi è vittima del proprio ego gioirà delle tue sventure, perché chi ha autostima non ha bisogno di altro se non di se stesso, e non esita mai a tendere la mano a chi non ha ancora la sua fortuna.

Non c’è nulla di sbagliato in te, se non ti ama come ami tu. E’ che le persone sanno amare gli altri solo fino al livello in cui sanno amare se stesse.

suzie.zan

Il mio posto sicuro.

Sei il mio coraggio, 
quando a me manca.
La mia forza, 
quando sono per terra.
Sei la calma che mi guida quando mi sento persa.
Sei l’abbraccio 
che mi scalda.
Il bacio che mi rincuora.
Sei la casa senza pareti, 
che quando scappo 
si fa sempre trovare.
Sei quel sorriso che voglio sempre vedere, 
quella dolcezza a cui 
non posso rinunciare.
Sei quello sguardo che mi comprende 
anche quando nemmeno io mi capisco, 
quella mano che mi prende
 quando arrabbiata ti dico addio.
Sei il sogno che non ho mai avuto il coraggio di avere, ma che ora ho senza il bisogno di dormire.
E potrei dire altro ancora anche se questo non si può spiegare, 
ma forse ora puoi capire perché ti chiamo 
Amore.

12 – Il gioco del giudizio

Ho scoperto che la felicità è strettamente collegata alla percentuale di pensieri positivi o negativi che ogni giorno attraversano la nostra mente. Inoltre, ho saputo che il contenuto dei pensieri di oggi equivale al 90% del contenuto dei pensieri di ieri. In effetti il discorso non fa una piega. In questi giorni ho osservato la mia mente e la situazione è stata parecchio noiosa e ripetitiva: devo finire le lezioni del corso online a cui mi sono iscritta ma non ho più voglia di farlo perché la tizia parla molto lentamente, chissà se quella casa col giardino che abbiamo trovato è la scelta giusta, che brutta persona cos’ho fatto di male per incontrarla, devo propagandare meglio lo stile di vita vegetariano, etc, etc etc…

Pensieri noiosi a parte, tra loro ce n’è uno molto positivo: mi sono resa conto che eliminando il giudizio riguardante tutto ciò che accade e tutte le persone che incontro, il mio tasso di positività si è notevolmente alzato, lasciando poco spazio ai pensieri negativi. Ho fatto caso al fatto che la maggior parte dei giudizi emessi dalla mia mente hanno tendenza negativa, e per accorgermene ho ideato (o cosi credo, perché non l’ho letto da nessuna parte) un gioco: Il gioco del giudizio. Non è un gioco in scatola, somiglia più ad un solitario, però è abbastanza difficile perché richiede concentrazione. Ora ve lo spiego… ( se vi sembro pazza non preoccupatevi, è normale che io lo sembri).

Il Gioco del Giudizio (gioco soggetto a copyright)😝

  • Partecipanti: UNO – per cominciare si gioca da soli (poi a livello avanzato si può anche giocare in due).
  • Dove si gioca: si trova un luogo poco tranquillo, meglio se rumoroso, meglio se caotico (io personalmente preferisco il supermercato, il centro commerciale oppure il centro storico)
  • Come si gioca: il gioco consiste nel lasciare che il nostro sguardo si posi su qualche oggetto, situazione, o su qualche persona, per poi aspettare che la nostra mente esprima il suo parere. Esempio: sono al supermercato ed una donna sessantenne in abito con tacco e parecchio truccata guarda i surgelati. ” ammazza! ma questa come si concia per andare al supermercato? Alla sua età poi, tutto quell’ombretto mi pare troppo”. La mia mente ha espresso il suo parere.
  • Come procede il gioco: ora che il verdetto è stato espresso, bisogna chiedersi Perché?” Perché ho pensato che la signora fosse fuori luogo al supermercato con il tacco? Da dove arriva questa idea? e per quanto riguarda il trucco pesante, sono certa che indossarlo in un supermercato sia fuori luogo? Questa idea mi appartiene o è solo frutto di un qualche insegnamento della società in cui vivo? ..ritengo che la signora sia in errore solo perché io non andrei al supermercato con i tracchi e lo smokey eyes? Magari la signora stessa mi ha guardato ed ha pensato che ero troppo sciatta e che avrei dovuto darmi una sistemata prima di uscire di casa. E quindi chi ha ragione? Tendenzialmente avrebbe ragione la persona che si attiene di più agli stereotipi della società, praticamente avremmo ragione entrambe, se nei panni che vestiamo ci sentiamo a nostro agio.
  • Come finisce il gioco: il gioco si conclude quando riusciamo a separare il nostro essere profondo (la nostra vera personalità) dalle credenze che la nostra società ci ha imposto fin da piccoli. Più comprendiamo chi siamo, meno ricerchiamo conferme all’esterno. Più conosciamo la nostra vera opinione, meno ci sentiamo minacciati dall’opinione degli altri, al contrario, diventiamo più accoglienti e disposti al dialogo perché basiamo le nostre credenze non più sugli ideali imposti dalla società, bensì dalla nostra reale opinione ponderata nel tempo. Quando qualcuno vorrà esporci lil suo parere la ascolteremo astenendoci dal giudicarla istantaneamente, e trasformeremo quella che prima sarebbe stato un acceso battibecco, in un dialogo costruttivo.
  • Lo scopo del gioco: il senso del gioco è imparare ad osservare i pensieri sul nascere, sia per impedirgli di prendere il sopravvento su di noi (accompagnati magari da qualche emozione), sia per riconoscere cosa davvero sentiamo appartenere ai nostri ideali (e non solo a quelli del nonno, della compagna di classe, dell’amica, del titolare).

E’ stato meraviglioso riconoscere un’infinita quantità di pregiudizi che facevano parte del mio bagaglio d’esperienza, e distruggerli, uno ad uno, trasformandoli in pensieri positivi ed altruistici. Prima avrei considerato la signora una donna pacchiana poco meritevole di considerazione perché “ma dai, come si concia per andare in giro”, ora la considererei una donna appariscente, che si piace, a cui piace stare scomoda al supermercato, ma con cui sarebbe interessante avere una conversazione, solo per il fatto che conoscere qualcuno diverso da me è sempre un buon modo per guardare la vita da un punto di vista diverso, e per imparare qualcosa che certamente non so.

Riconoscere atteggiamenti di pregiudizio ricorrenti nella nostra mente e la loro negatività che si ripercuote sulla nostra vita è il primo passo verso un’esistenza più felice, ricca di nuovi stimoli, di nuove esperienze, di nuove amicizie con persone che “a priori” non sembrano adatte a noi, ed allo stesso tempo, una vita più povera di pensieri ricorrenti, ridondanti, ripetitivi. Ho anche fatto caso ad una cosa, la mente negativa si annoia molto facilmente, perché una volta espressa la sua opinione non può aggiungere altro, cerca quindi nuove attività interessanti e se non le trova, rimugina sempre sulle stesse cose. Una mente positiva invece prova interesse in tutto ciò che incontra, è curiosa ed attiva, ripensa difficilmente a situazioni negative perché in qualche modo è riuscita ad analizzarle ed a trovarci un insegnamento.

Il mio pregiudizio è nato alle scuole medie, e mi ha accompagnato per tanti anni. Mi sono accorta di averlo avuto con tante persone, forse troppe, e che questo ha davvero limitato la mia vita, in qualche modo. Alcuni, i più coraggiosi e pazienti, hanno perseverato nell’intento di farmi ricredere, e ci sono riusciti. Altri hanno semplicemente deciso di proseguire sulla loro strada, lontano dalla mia. “No ma io non mi fido degli altri, sono tutti stronzi, a nessuno importa realmente di me, c’è pieno di brutte persone”. Può essere vero, ma su che basi si fonda questa convinzione? Sulle parole della mamma che ti ha detto di non accettare caramelle dagli sconosciuti? Si basano su quell’episodio alle elementari dove il tuo migliore amico ti ha portato via la fidanzatina? Te l’ha detto il nonno di non fidarti di nessuno perché il suo amico Fausto imbroglia giocando a carte al bar?.

La tua è precauzione o pregiudizio?

11 – Un uovo al giorno

Essere vegetariana è una decisione che ho preso con semplicità, estrema è stata invece la difficoltà nel metterla in pratica, questa scelta. Carne, uova e latticini non sono mai mancati sulla tavola quando vivevo con la mia famiglia; salumi, scatolette di tonno, creme spalmabili, würstel ed altre tipologie di “cibo veloce” non sono mai mancate in casa nemmeno quando sono andata a convivere.

Firenze 2018

Nella fotografia venivo immortalata felice insieme al mio piatto di Fiorentina (la seconda in quattro giorni) mentre trascorrevo qualche giorno a Firenze. A dirla tutta, ancora adesso ne ricordo il profumo di brace ed il sapore deciso, la tenerezza della carne al contatto con il coltello, il gusto della parte più saporita vicino all’osso. Rinunciare a questa tipologia di sapori, così come al galletto arrosto del pub del mio paese, ad un bel panino con il salame, la mortadella, il capocollo (quello che ho assaggiato in Puglia è rimasto nel cuore) è veramente difficile. E’ difficile, dopo praticamente trent’anni passati a pane e prosciutto crudo, comprendere che, per ogni istante di libidine gustativa che proviamo, c’è più di un istante di sofferenza dietro.

Da quale animale cominciamo?

E’ nato prima l’uovo o la gallina? Si crede sia nato prima l’uovo, ma questa domanda è meno importante rispetto a quella che sto per porre: quante uova fa una gallina al giorno? Le galline non depongono mai più di un uovo al giorno. La gallina Livorno è quella che ne produce di più annualmente, ma il numero non è mai superiore a trecento. Per sua natura, una gallina dovrebbe vivere intorno ai dieci anni, quelle ovaiole allevate in gabbia nei capannoni ne vivono più o meno tre (e da sopportare, in quelle condizioni, sono anche troppi) [tuttosullegalline.it]

Ora io mi metto nei panni di una gallina, allevata in un capannone, magari nemmeno a terra, ma in gabbia. Mi metto nelle condizioni di vivere ventiquattro ore su ventiquattro in una gabbia di 750 cm quadrati, senza la minima possibilità di razzolare, stando al buio, defecando sulle mie stesse zampe, e tutto questo, perché tu, uomo, da me vuoi un uovo! UN UOVO in cambio di 24 ore della mia sofferenza. Non aggiungo altro. [galline in gabbia]

Coniglio felice,
come dovrebbero essere TUTTI i conigli.

I conigli (non questo nell’immagine a lato, lui sta benone), non se la passano certo meglio delle amiche pennute. Il 99% di questi animali è allevato in gabbie reticolate staccate dal suolo, sprovviste di qualsiasi arricchimento.  Questi conigli hanno come spazio vitale la superficie di un foglio A4. Non solo non possono esprimere i loro comportamenti naturali più fondamentali (drizzarsi, nascondersi, fare balzi, rosicchiare, ecc.) ma le gabbie reticolate sono anche fonte di un permanente disagio per l’animale e di ferite alle zampe. [conigli in gabbia] Ma vuoi mettere, quant’è buono il coniglio al forno che fa mia nonna?

Toglietemi tutto, ma non il mio pane e salame che mi mangio a merenda nei giorni pari, in quelli dispari, invece, resto leggero e quindi mi basta un po’ di bresaola di cavallo con un goccio d’olio.

Prima ti mozzano la coda, così i tuoi simili non te la azzannano, poi se sei maschio ti castrano, ed infine ti levigano o ancor meglio, ti troncano i denti. Il tutto senza anestesia, il tutto a solo una settimana di vita. Questo è il minimo che ti aspetta se sei un suino, sciaguratamente nato in un allevamento, però dai, se sei fortunato puoi avere a disposizione un po’ di paglia, altrimenti devi accontentarti di qualche vecchio copertone usato come allestimento, oppure semplicemente te ne stai lì da solo, nella tua “cella” dove dormi e defechi senza distinzione.

“Sapevi che i suini sono considerati più intelligenti dei cani? Eppure, negli allevamenti intensivi, ai maiali non viene data alcuna possibilità di utilizzare la propria intelligenza, poiché confinati tutta la vita in capannoni, chiusi all’interno di recinti angusti e sovraffollati, privati di ogni stimolo, senza poter mai vedere la luce del sole. Chi soffre di più in questo sistema sono sicuramente le scrofe. Ingravidate artificialmente per tutta la vita, sono costrette a partorire all’interno di minuscole gabbie di metallo, così piccole da non consentire loro neppure di girarsi, e tantomeno di prendersi cura dei propri maialini. La loro sofferenza è estrema, sia fisica che mentale.

Animalequality

E con i suini è tutto, lasciamo la parola agli amici bovini.

Mucche in perenne attesa (dolce, ma anche non)

Hey Ragazze! Aspettate la Limousine per andare a fare l’aperitivo? Ah no, è vero, siete mucche da latte, potete solo essere ingravidate, per poi essere munte, per poi ripetere questo ciclo per qualche anno, per poi essere mandate al macello. Niente divertimento per voi, mi dispiace.

Mentre una mucca che allatta (allevata per la sua carne) produrrebbe naturalmente circa 4 litri di latte al giorno, una mucca da latte produce in media 28 litri di latte al giorno per un periodo di 10 mesi. Perchè producano una quantità sufficiente di latte, le mucche devono partorire un vitello tutti gli anni, a partire dall’età di due anni. Vengono di solito inseminate artificialmente tre mesi dopo aver figliato. I vitelli sono loro allontanati dalla madre subito dopo la nascita o pochi giorni dopo, il che rappresenta uno stress enorme sia per la mucca sia per il vitello, che sono molto legati tra loro. Le mucche da latte vengono generalmente abbattute molto presto, in media dopo la loro terza lattazione. Allo stato naturale, una mucca da latte potrebbe vivere fino a 20 anni.

CIWF Italia

Penso di essere stata abbastanza esaustiva ed ironica.

Il problema più grande, in assoluto, anche più grave della stessa situazione all’interno degli allevamenti, è che queste cose non si comprendono appieno. Se ne parla, spesso vagamente, anche al telegiornale, si conosce la verità, ma infondo non la si comprende. Ed anche io ero cosi, lo ero e lo sono stata per trent’anni della mia vita. Andavo al supermercato e riempivo il carrello con bistecche ( la cui provenienza non mi è mai interessata), di cartoni di latte che spesso venivano poi dimenticati mezzi vuoti nel frigorifero, e di uova, le più economiche, così si risparmia. Andavo al ristorante e non vedevo l’ora di assaggiare quella tagliata di manzo che dal menù sembrava strepitosa, e lo era, e dormivo appesantita ma tranquilla perché magari mi era rimasta sullo stomaco, ma di certo non sulla coscienza. La consapevolezza è un po’ come l’appetito, viene mangiando. Mangiando cibi la cui provenienza si conosce, si diventa più consapevoli, più attenti, più sensibili, e si comincia a riflettere. E’ stata dura rinunciare al gusto di una bistecca? Si. E’ stata molto dura, soprattutto perché non conoscevo alternative, perché abituata al sapore deciso della carne, ogni verdura mi sembrava insapore, perché sfinita da una giornata lavorativa avevo voglia di gustarmi qualcosa di delizioso invece di quella triste insalata. Eppure, con qualche scivolata, con qualche sogno di abbuffata, con qualche soldo in più nel portafogli (perché la verdura ci fa anche risparmiare, oltre al fare molto bene alla nostra salute) eccomi qui, sana come un pesce, energica e felice di non essere più schiava dei miei stupidi desideri, e di essere però, in cambio, amica degli animali.

Il mese di gennaio 2021 ha portato con sé un’adesione senza precedenti all’iniziativa che invita la popolazione a scegliere alimenti 100% vegetali per tutto il mese. Boom di adesioni per Veganuary, che quest’anno ha raggiunto e superato i 500 mila iscritti già a inizio del mese. E, a quanto pare, le iscrizioni hanno continuato a crescere al ritmo di una ogni tre secondi, segnando un vero e proprio record per l’iniziativa, nata nel 2014 nel Regno Unito. Da qualche anno, gennaio è diventato il mese dedicato a diffondere lo stile di vita vegan attraverso la promozione di una dieta 100% vegetale. 

Ho capito di non aver capito niente, quando ho conosciuto Tina e Turner, due simpatiche mucche che si affacciavano al recinto dell’allevamento vicino a casa. Uso quei due nomi, ma purtoppo non sono sempre le stesse, e chissà se la prima Tina che ho conosciuto è ancora qui sulla terra con noi. Dovunque essa sia, non dimenticherò mai i salti di gioia che faceva dentro al suo piccolo recinto, ed il suo muso curioso che si avvicinava a me, per salutarmi. [Le mucche saltano di gioia]

Questo è il racconto della mia esperienza, da ex amante della carne vengo in pace, nella convinzione che la libertà di pensiero sia fondamentale, amica di un cacciatore che non riuscirò mai a convertire, spero che questo articolo sia per voi un semplice spunto di riflessione, e che magari, anche solo per sperimentare, vi venga voglia di provare ad essere vegetariani per una sola settimana, e poi chissà…

Carlotta con la sua Cucina Botanica è perfetta per cominciare..

10 – I miei maestri sono gatti

Da anni ormai convivo con quattro gatti. A dirla tutta, se dovessimo ascoltare il loro punto di vista, direbbero di essere loro a concedere ospitalità a me, povera umana, io ovviamente non sarei d’accordo, anche se una soddisfazione, però, gliela devo dare: che mi hanno insegnato tanto con il loro modo personale di vivere e vedere le cose.

La mia prima maestra di vita è bianca e grigia, con gli occhioni a palla verde smeraldo, l’abbiamo adottata portandola via da un gattile; quel giorno non si era dimostrata molto collaborativa, aveva cercato di scappare subito dalle grinfie della volontaria per rintanarsi infondo ad un grosso tubo peloso che arredava la stanza per i gatti. Vista la scarsa collaborazione e l’atteggiamento da ribelle, le abbiamo subito regalato un nome degno di tali caratteristiche: Mafia, e l’abbiamo portata a casa. Fin dal primo istante si è dimostrata diffidente, inavvicinabile, terrorizzata, e così è rimasta fino ad oggi. Negli anni, osservando i tatuaggi che le hanno lasciato (probabilmente durante la sterilizzazione) abbiamo dedotto che il suo atteggiamento sia dovuto a qualche trauma vissuto quando era piccola, evidentemente è stata maltrattata.

Mafia controlla che nessuno trami alle sue spalle.

Penny, la sua amica di “cella” che abbiamo adottato la settimana seguente, al contrario, si è dimostrata fin da subito una coccolona, con il suo pelo tigrato e gli occhi verde scuro. Arrivata a casa si è ambientata all’istante prendendo possesso del divano, dimostrandosi docile anche nei confronti della piccola Mafia che, come al solito, se ne stava al sicuro in disparte.

Penni si rilassa.

Qualche tempo dopo abbiamo adottato Iris, per gli amici “Psyco”, una certosina grigia con gli occhi gialli che già da piccola combinava disastri, ed ha continuato su quella lunghezza d’onda, per non deluderci ovviamente, fino ad oggi, anche se una delle sue imprese più epiche resta il furto del petto di pollo grigliato che avevo nascosto nel microonde. Con i suoi delicati modi da scassinatrice di armadi, è riuscita ad aprire il forno, a prendere la fetta di pollo, a portarla sul tavolo della cucina, ed a condividerla con la sua amica di merende Penny. Un altro giorno, stessa situazione ma con diversa vittima, si trattava infatti di un sacchetto di alette di pollo piccanti prese al mercato, la pazza Iris non ha esitato ed ha sfidato il rischio di essere scoperta per aprire il microonde e condividere il suo furto con la sua solita amica, questa volta buttando direttamente il sacchetto a terra e coinvolgendo anche il cane, Bentley, che si è mangiato tali alette con estremo gusto, facendoci spaventare, una volta scoperto il misfatto, data la pericolosità delle ossa di pollo taglienti nello stomaco del cane.

Iris ama correre e farsi rincorrere sul tetto.

Felice è l’ultimo dei quattro gatti ad essere entrato nella casa. Trovato a mendicare coccole su un marciapiede in un quartiere vicino ad un grande parco, l’impavido felice è sopravvissuto ad un incidente stradale dove un auto, o così crediamo, l’ha colpito in corsa. Con il suo occhio bieco che resta sempre semi aperto, e la sua bocca senza la metà dei denti, questo gatto riempie le mie giornate con i suoi miagolii ed i suoi agguati che cerca di fare con scarso successo. Felice, di nome e di fatto, è un gatto bianco, con delle macchie nere che sul muso sembrano una frangetta con la riga in mezzo ed un baffetto sotto il naso, ha un suo stile retrò, ed è molto, molto grasso. 

L’ingresso del ciccione in casa ha destato scompiglio tra le altre tre gatte, che lo detestano e lo schifano, ma credo che infondo se lo meriti, è un randagio molto prepotente, e per niente galantuomo, usa spesso la violenza per ottenere ciò che vuole prendendole a zampate ogni qualvolta abbia voglia di accomodarsi in un posto già occupato o di mangiare dalla ciotola più grossa. 

Felice, da poco arrivato nella sua nuova casa, ancora in forma smagliante, ancora poco grasso.

Descrizione dei gatti a parte, è arrivato il momento di spiegarvi il perché del mio considerarli Maestri di vita.

Mafia, la prima, è senza dubbio il più grande esempio di quanto, seppur in un ambiente sereno, la nostra mente possa indurci a credere di essere in pericolo, solo basandosi su avvenimenti del passato. Maltrattata e delusa da piccola, non ha più avuto il coraggio di fidarsi degli umani, seppur gli altri gatti siano per lei dimostrazione di quante coccole si possano ricevere da noi, lei resta sempre in disparte, insieme alle sue paure. La sua mente è la sua prigione, l’esatto opposto di ciò che è per Iris, che si sente fin troppo libera di fare tutto ciò che le passa per la testa senza temere ripercussioni (mi ha anche tirato tutti i fili di una giacca che adoravo), ma infondo lei sa che non corre alcun rischio, se non un’urlata in faccia, che comunque resta inutile. Stesso ambiente, stesse persone, modo di vivere completamente diverso. Allora forse siamo davvero noi a guardare il mondo attraverso gli occhi della nostra mente e delle paure e dei pregiudizi che si porta dietro. Felice, reduce dai tempi duri in cui era un randagio, mangia a sproposito nel terrore di non trovare più cibo, e seppure siano passati anni da quei tempi duri, resta sempre sull’attenti pronto ad inghiottire ogni cosa gli venga versata in una ciotola, eppure il cibo non manca mai. Penny, invece, molto grassa anche lei, non ha così tanta premura di essere la prima a mangiare, vive serenamente ogni suo istante, dormendo e coccolandoci. Lei, di tutti, è quella che ha saputo vedere meglio la realtà che le abbiamo presentato, non ha avuto bisogno di usare la forza per prendersi il suo posticino nel nostro cuore, ed è anche la più paziente, soprattutto con il cane, che è un bel rompiscatole.

Qual’è quindi il grande insegnamento che ho avuto dai miei maestri?

Da loro ho appreso che la vita è continuo cambiamento e che noi dobbiamo essere pronti a cambiare insieme a lei, forse qualcuno ci ha maltrattato o forse ci siamo sentiti soli in mezzo ad una grande strada, ma il giorno dopo possiamo trovare qualcuno che ci ami e che ci porti con lui in un posto sicuro. Grazie a loro ho capito che a volte per poter avere delle briciole è necessario lottare e tenere duro, ma che poi la vita si stravolge e da briciole che erano posso avere, invece, ogni giorno una pagnotta. Che se rimango attaccata ai fatti del passato, soprattutto quelli brutti, poi non potrò accorgermi di quelli belli, perché starò ancora vivendo nel dolore e nella paura di essere ferita, che a volte posso agire con leggerezza, seguendo il flusso del momento, e sbagliare senza farne un dramma, perché per ogni errore esiste anche un perdono senza ripercussioni, e poi posso vivere apprezzando ciò che c’è in questo momento. Grazie ai miei maestri ho compreso l’importanza di vedere al di là di ciò che la mia mente, condizionata dall’esperienza, cerca di mostrarmi, e che essa stessa è la fonte e la causa dei miei limiti e della mia sofferenza, e loro, con le loro buffe personalità e con le loro storie ne sono la conferma.

Iris e la sua amica di merende Penni, colte nel bel mezzo di una delle loro malefatte.

Quindi si, forse non avrebbero ragione nel dire che sono la loro ospite in casa, però ne avrebbero nell’affermare che mi hanno insegnato qualcosa, tante cose, e senza nemmeno accorgersene! 

O forse è quello che cercano di farmi credere…

“Alcune cose si rompono… perché non andavano bene aggiustate.”

Iris.

8 – Creare spazio

Mi sono sentita sopraffatta, spesso, dal trambusto emotivo che si manifestava dentro il mio corpo, e dal feroce chiacchiericcio dei pensieri all’interno della mia mente. Tutte cose che sapevo di non voler sentire, cose con le quali non ero d’accordo, ma accadevano, persistevano, e mi confondevano. “Com’è possibile che io non riesca ad essere d’accordo con me stessa?” In certi periodi passavo intere giornate facendo dialoghi contraddittori tra me e me. Se cercavo la soluzione ad un problema, e la trovavo, poco dopo una parte di me s’impegnava a smontarla, ricercandone una migliore, che veniva poi ulteriormente distrutta da altri pensieri. Tutto ciò poteva anche essere gestibile, se non per il fatto che spesso, ad accompagnare i pensieri, c’erano anche delle emozioni. Identificare me stessa con tutto questo traffico interiore era ormai cosa che facevo da anni; alcune emozioni mettevano radici, spesso le sentivo addosso, sulle spalle, oppure sulla bocca dello stomaco, e restavano, accompagnando le mie giornate, anche per settimane. Riesco a descrivere ora, suppongo chiaramente, tutta questa situazione, perché in qualche modo ho compreso di avere un problema, che definirei abbastanza grosso: avevo bisogno di spazio.

Non parlo di una casa più grande, di un’armadietto sul lavoro, o di una vacanza in mezzo al deserto, anche se ciò non mi dispiacerebbe. Parlo dello spazio che ognuno di noi può avere dentro di sé, ma di cui spesso ignoriamo l’esistenza, o perlomeno, il potenziale di esistenza. 

Per dare la definizione più chiara possibile di “spazio” devo raccontare il mio percorso; cominciamo dall’inizio.

Sto dormendo, qualche raggio di luce filtra attraverso le veneziane della finestra in camera, sto ancora sognando ma la stanza illuminata dal sole comincia a risvegliarmi, il sogno che sto facendo prosegue, ma in questo momento mi rendo conto di ciò che è, una semplice illusione. Non so quanti minuti dopo, suona la sveglia, riprendo coscienza abbandonando bruscamente il sogno, e svogliata apro gli occhi. Resto per qualche istante in quella sensazione che proviamo sempre ogni volta che ci svegliamo, se ci prestiamo attenzione è la stessa sensazione di silenzio mentale che si prova durante la meditazione. Sono sveglia, ricordo perfettamente il sogno, anzi, essendo stato poco piacevole, sento ancora addosso le emozioni che ho provato mentre lo “vivevo”. Il silenzio mentale viene interrotto dal pensiero di non volermi alzare per andare al lavoro. Ma non ho alternative. Mi alzo accompagnata dall’emozione del sogno che in questo caso, per praticità, chiamerei “malinconia”. Mi alzo, portandomi in spalle la malinconia, mi bevo un bel caffè, gioisco un istante per il profumo della moka sul fuoco, mi vesto, e vado a lavoro. Lavorare a contatto con la gente è sempre impegnativo, anche nei giorni più tranquilli. Le ore passano ed insieme a malinconia, comincio a portarmi sulle spalle anche seccatura, noia, voglia di fare altro, fame, rabbia ed un pizzico di felicità perché una cliente mi ha fatto i complimenti. Sono solo le 18:00 ma sulle spalle ho già un bel gran peso per oggi, nel frattempo la mia mente non ha ancora smesso di rivangare il passato che durante la notte era stato risvegliato in me. Ogni tanto provo a sforzarmi di non pensarci, ma tanto è inutile, appena perdo la concentrazione il pensiero ritorna a tartassarmi l’anima. Vado a dormire nella speranza che domattina tutto sia sparito lasciando il posto ad una bella emozione di felicità. Ma la mattina dopo, non è mai così.

Pensieri ed emozioni non accettate riempiono la nostra vita di inutile sofferenza, limitando sempre di più il nostro spazio interiore, che definirei come la “quiete mentale” che si manifesta in quei pochi istanti di assenza di pensiero; un po’ come quando a scuola ci “imbambolavamo” fissando la lavagna. Che bella sensazione, quasi di “rimbambimento” concedetemi il termine. L’unica differenza tra questo e la consapevolezza, è che mentre siamo consapevoli, proviamo la stessa sensazione di pace da rimbambimento, rimanendo però estremamente lucidi. 

Per “spazio” intendo, quindi, il distacco tra noi e la nostra mente parlante, così da poter esserne meno influenzati, e riuscire poi a vedere la vita in modo più sereno. 

Come ho creato spazio nella mia mente?

Inizialmente ho utilizzato la tecnica Mindfulness, che consiste nel prestare piena attenzione al momento presente, osservando ed accettando ogni cosa ci si presenti di fronte. Seduti in meditazione, concentrati sul respiro, potrebbero insorgere fastidi legati alla posizione in cui siamo seduti, pensieri che disturbano il nostro osservare il respiro, emozioni, o più comunemente la sensazione di noia accompagnata dal commento mentale “ma chi me l’ha fatto fare di mettermi ad ascoltare il mio respiro, una rottura pazzesca, tra poco mollo tutto e vado a guardare la tv!”.

Escludendo ciò che tenterà di invogliarci a smettere subito di eseguire questa pratica, la mindfulness è sicuramente la più efficace per chi, come me, ha bisogno di intraprendere un percorso mirato all’accettazione ed al perdono. Prendere atto del contenuto dei pensieri che ci frullano per la testa, e quindi comprendere quali siano i nostri problemi, è il primo passo verso la guarigione e la libertà mentale.

Praticando, col tempo, mi sono resa conto che le argomentazioni della mia mente relative al passato ed al futuro erano sempre deliranti, ma comunque affievolite; ma questo non era abbastanza per l’enorme spazio interiore di cui avevo bisogno. In attesa che arrivasse, come sempre, un suggerimento divino, guardavo svogliatamente un film. Scorrendo la home di Instagram, apparve nei suggerimenti il profilo di una ragazza che non vedevo da tempo, la cui foto rappresentava lei in una posizione yoga. Lo yoga, in effetti, accompagna sempre l’immaginario collettivo della spiritualità, “e se provassi anche io a frequentare un corso di Yoga?” – “mmmm… non faccio alcun tipo di attività fisica da più di tre anni, amo troppo il mio divano per farlo, ma non ci provo nemmeno, mi annoio già al solo pensiero, ne parlano tutti bene di questo yoga, dei suoi benefici, ma mi sembrano tutte cazzate” la mia mente stava già decidendo al posto mio! E se non me ne fossi accorta (grazie alla consapevolezza acquisita con mindfulness) avrei finito per credere di essere d’accordo. Fortunatamente ho appreso un piccolo trucco, che uso quando accadono situazioni del genere, che consiste nel dire a me stessa “ se non hai voglia di farlo, allora è proprio il momento giusto per farlo”. Così ho salutato il divano e con il mio tappetino, in casa, ho scelto di seguire la mia prima lezione di Yoga Online (non avevo alternative a causa del Covid) . Ora faccio yoga ogni mattina, anche solo mezz’ora, per calmare la mente dai sogni fatti nella notte, e soprattutto dalle emozioni che si portano dietro. Se state pensando che io sia una persona mattiniera, vi sbagliate di grosso, faccio un’enorme fatica ad alzarmi la mattina, probabilmente nella mia vita precedente ero un ghiro. Quindi no, non mi piace alzarmi la mattina, né mettermi subito a fare esercizi dopo aver bevuto solo un bicchiere d’acqua, eppure lo faccio, perché mi fa stare meglio, mi fa stare bene. Impossibile sarebbe per me spiegare come dei semplici esercizi possano dare benefici mentali, ma credo che chiunque pratichi sport e stia leggendo le mie parole, possa confermare la mia teoria del benessere mentale dopo un allenamento fisico.

Creare spazio dentro di noi, ed avvicinarci quindi alla quiete interiore, unico luogo dove risiede davvero la gioia (comunemente confusa con la felicità), è difficile. Personalmente, è stato e continua ad essere molto difficile, perché significa essere sempre consapevolmente attenti a ciò che la nostra mente svogliata cerca di farci credere. Essere felici è difficile. E non ho ancora compreso da dove sia arrivata, dentro di me, la convinzione che essere felici sia semplice; forse deriva dal fatto che per anni ho pensato di trovare la felicità nei miei acquisti compulsivi, in una cena tra amici, in un viaggio, e per carità, sono tutte cose che mi hanno reso e che mi rendono felice, però sono tutte sensazioni emotive, quindi effimere. La gioia interiore, invece, ricavata dal prendersi del tempo per se stessi e per creare spazio di quiete dentro di noi, non è creata da emozioni, è un puro stato esistenziale, quindi non effimero, inesauribile e soprattutto che non crea dipendenza, a differenza delle emozioni.

Giusto ieri ho avuto uno di quei risvegli che non amo, quelli con fuori il cielo grigio, nuvoloso, col rumore della pioggia che batte sul tetto della camera, quelli che dentro ti senti spenta ed appesantita dal solo pensiero di respirare ed alzarti dal letto. Era il mio giorno libero da lavoro, non avevo in programma nulla da fare, avrei potuto crogiolarmi in quelle sensazioni malinconiche ed affogare nel malumore, ma forse quel piccolo briciolo di consapevolezza che ho sviluppato in questi mesi mi ha dato la forza per alzarmi a praticare Yoga. Una lezione improntata sull’apertura del cuore, di soli 30 minuti, è riuscita a stravolgere completamente le sensazioni che fino a poco prima mi portavo dentro, liberandomi dall’oppressione emotiva, creando in me spazio per respirare. Ho fatto molta fatica ad abbandonare il letto, ma ne è valsa la pena!

“Sto dicendo cretinate? Provare per credere.”

7 – Il mostro sotto il letto

“Ogni dolore emotivo che provi si lascia dietro un residuo che sopravvive dentro di te e si fonde con la sofferenza del passato che era già li e si annida nella mente e nel corpo. Questo, naturalmente, comprende il dolore che hai patito da piccolo, causato dall’inconsapevolezza del mondo ne quale sei nato. Questo dolore accumulato è un campo di energia negativa che occupa il corpo e la mente. Se lo consideri come un entità invisibile a sé stante, ti avvicini molto alla verità.

È il corpo di dolore emotivo. Ha due modi di essere: attivo e inattivo. È possibile che resti inattivo per il 90 per cento del tempo, ma in una persona infelice può essere perennemente attivo. (…) Può essere innescato da qualunque cosa, specialmente se entra in sintonia con uno schema di dolore appartenente al passato.”

“Il potere di Adesso” – Eckhart Tolle 

Quando racconto di avere un mostro nella testa vengo frequentemente presa per pazza, non me ne faccio un grosso problema, del giudizio dico, perché fondamentale per me è prendere sempre più atto che esista, nella mia mente, questa entità che potrei considerare malvagia, ma che infondo è nata per proteggermi. Ne parlo nella speranza che identificare e conoscere bene questo “essere” possa permettermi di averne meno paura, e chissà, forse un giorno, di riuscire a mandarlo via.

Ne parlo anche perché, ogni tanto, capita che qualcuno comprenda ciò di cui stia parlando, e che condivida con me il fatto di avere anch’egli un mostro nella testa, nell’armadio, sotto il letto o nello specchio.

Il mio piccolo mostro è nato più o meno quando avevo diciannove anni, in quel periodo dove, finita la scuola, mi sono ritrovata in una nuova vita, senza più punti di arrivo, e con solo un immenso mare aperto di fronte. Navigare in acque profonde non era mai stato il mio forte, abituata alla noiosa vita di paese ed alla solita routine settimanale, e sinceramente non avevo mai nemmeno avuto l’ambizione di lasciare il mio porto.

Fare ciò che mi passava per la testa era il mio “modus operandi”, mi curavo poco sia del mio operato in campo scolastico, che nel settore lavorativo, e forse l’unico motivo per cui non ho del tutto fallito è stato il fatto di risultare particolarmente simpatica agli insegnanti ed ai titolari dei luoghi in cui ho lavorato. Se poco m’importava del mio futuro, altrettanto poco m’importava del presente e delle persone che mi circondavano, non ho mai finto simpatia per qualcuno che non mi andava a genio, anzi, spesso mi divertiva assumere atteggiamenti cattivi nei suoi confronti, con alcuni amici che avevo vicino mi dimostravo poco interessata e non curante del fatto di poter ferire, anche se a volte involontariamente, i loro sentimenti. Nella mia completa inconsapevolezza vivevo molto bene, o perlomeno ho vissuto molto bene, finché non ho incontrato qualcuno che ha fatto altrettanto con me, qualcuno che non si è curato di ciò che provavo. Da quell’istante, è cambiato tutto.

Prima non avevo bisogno di proteggermi, soprattutto dalla cattiveria altrui, perché nel profondo sapevo di essere altrettanto forte e sprezzante quasi al limite della cattiveria, ad oggi comprendo i parecchi errori che ho fatto mossa dall’inconsapevolezza della realtà che mi circondava, ma in quel periodo quel lato del mio carattere mi piaceva, e seppur inspiegabilmente, piaceva anche alle persone che mi stavano intorno, forse erano attratte da questo mio modo di essere ironica e strafottente, non saprei spiegarmelo in altro modo. Quando sulla mia “cattiveria” ha prevalso una forma di insicurezza legata al mio modo di essere, il mondo è parso girare in modo completamente diverso, non orbitava più intorno a me, ero io a dovermi sforzare di girare con lui per non rimanere indietro. Se prima sbattere porte in faccia a chiunque era per me pane quotidiano e non mi recava alcun disagio, ora mi risultava difficile farlo con alcune persone, a cui palesemente tenevo in particolare modo senza però particolare motivazione. Più mi dimostravo accondiscendente e disponibile con tali soggetti, più loro ne approfittavano, sottovalutandomi, considerandomi solo in base ai loro comodi, non curandosi di quelli che potevano essere i miei desideri. Ormai quasi sull’orlo della disperazione ho cercato risposte ed aiuto in alcuni libri che trattavano di autostima, ed ha funzionato. Amare e porre me stessa prima di qualunque altra persona, portandole comunque il rispetto e la considerazione che meritava, era diventato il mio obiettivo; ma nel profondo rimanevo sempre la stessa fragile ed insicura ragazzina, così, per darmi forza, ho creato una piccola creatura nella mia mente, composta prevalentemente da orgoglio e rabbia, che ad ogni piccola occasione in cui mi sentivo minacciata, prendeva il sopravvento e mi dava la forza per reagire ed aggredire chi, secondo le emozioni del momento, stava cercando di ferirmi. La crescita esponenziale di questo mostro protettivo è accaduta quando mi sono sentita costretta a tagliare i ponti con una persona che, nel tempo, ero arrivata a considerare fondamentale per la mia felicità, cosa non vera in quanto non faceva che ferirmi, ma apparentemente reale a causa di un’inspiegabile sentimento che accompagnava i miei pensieri in merito ad essa.

Che fosse amore o pazzia, era un sentimento che andava estirpato, e l’unica speranza che avevo di riuscire ad eliminarlo, era farmi forza in ogni modo possibile, persino alimentando un mostro rabbioso dentro me. La cosa divertente è che non ho mai saputo di aver dentro questo mostro finché non ho letto, dieci anni dopo, un libro di E. Tolle, per poi ritrovarmelo di fronte, mostruosamente immenso ed inaspettato (Per anni infatti, dopo aver svolto egregiamente il suo compito, era rimasto dormiente in un angolo della mia mente, nascosto e silenzioso, praticamente dimenticato, insieme ad una scatola (il cui contenuto rimarrà segreto) che protegge furiosamente).

Siamo quindi arrivati al momento in cui dovrei presentarvelo, alcuni di voi potrebbero averne avuto un assaggio in un momento di disaccordo, altri fortunatamente no e spero che per loro resti solo un racconto. Dicevo appunto di avere questo mostro sotto il letto che fa la guardia ad una scatola di sentimenti, posso fare ciò che voglio con essa, ma devo stare attenta alle emozioni che provo aprendola; se sono tranquilla il mostro non si accorge di nulla, se provo delusione o sconforto, il mostro si erge improvvisamente in piedi e mi abbraccia trasformandomi in una bestia rabbiosa. Per cominciare elenca tutti i possibili difetti o mancanze che ho, giustificando l’essere stata ferita con il fatto che me lo meriti, poi mi suggerisce di non avere speranza di essere all’altezza delle persone che mi circondano, mi ricorda episodi in cui le mie azioni sono state vane, mi suggerisce di scappare e sparire perché tanto non ho un utile senso su questo pianeta, e poi mi dice di arrabbiarmi, di farlo furiosamente, di aggredire la persona che ha (spesso involontariamente) fatto riemergere in me una delle emozioni negative che mi avevano fatto provare in passato. Così il mostro resta, prepotente, aggrappato a me per giorni, con la sua aura negativa, con i suoi bisbigli pessimistici ed il suo insistente costringermi ad essere forte per distruggere ogni residuo di sentimento positivo nei confronti di chi lui non ritiene meritevole. Poi, quando “finalmente” ho dato di matto ed ho sfogato ogni pensiero rabbioso contro l’altra persona, il mostro se ne torna a dormire insieme alla sua scatola. Ed io ritorno me stessa, serena e pacifica.

In pratica non posso permettermi di tenere a qualcuno con cui magari a volte sono in disaccordo, senza temere di risvegliare la creatura dormiente, perché ogni volta che una persona a cui tengo mi ferisce, seppur io sia cosciente che non sia stato fatto volutamente e che essendo esseri umani è ovvio sbagliare, la rabbia e l’orgoglio del mostro prevalgono su tutto. Vedo ciò che accade, e lotto nella mia mente per mantenere la calma e la vera me stessa lontano da quelle emozioni rabbiose, ma spesso sono così forti che mi risulta impossibile fermarle, così il mostro vince, e poi tocca a me pagarne le conseguenze.

Per chi non ha mai sentito parlare di filosofia buddista, di Mente ed Essere al di là della mente, di meditazione, di yoga e del suo creare spazio, sarà senz’altro impossibile comprendere questo mio sproloquio mentale, scambiando certamente l’esistenza di questa entità di cui racconto, per una questione di carattere irascibile. Accetto e comprendo la sua incomprensione.

Invito invece chi ha compreso ciò di cui sto parlando, a lasciare un commento per condividere con me la sua esperienza, per raccontarmi del modo in cui la affronta, e perché no, per presentarmi se stesso ed il suo mostro.

“Alcuni corpi di dolore sono sgradevoli ma relativamente innocui, per esempio come un bambino che non smette di piangere. Altri sono mostri malvagi e distruttivi, veri demoni. Alcuni sono fisicamente violenti, la maggior parte a livello emotivo. Altri attaccano le persone che ci circondano o che ci sono care, e altri ancora se la prendo o con il soggetto che li ospita. Allora, i pensieri e i sentimenti che nutri nei confronti della vita diventano profondamente negativi ed autodistruttivi. In queste circostanze spesso sorgono malattie e si verificano incidenti. Alcuni corpi di dolore conducono al suicidio.”

“Il potere di Adesso” – Eckhart Tolle

Loputyn – The sickness that you are.

6 – Muri invisibili.

“ Come puoi essere felice, se non ti senti sinceramente felice? Devi sperimentare di essere tutte le cose che non senti sinceramente di essere. E il modo più veloce per sperimentare qualcosa che non senti sinceramente di essere, è far si che un’altra persona la sperimenti grazie a te .Far si che un’altra persona sperimenti ciò che tu vorresti sperimentare ti rende consapevole di essere la fonte, e non il cercatore, di quell’esperienza. Anziché cercare di ottenere ciò che vuoi, cerchi il modo di donare agli altri ciò che vuoi. “Si ma com’è possibile donare ciò che non si ha?” – “ Sapendo di averlo” – “E come si può sapere di averlo?” – “ah, logica circolare: donandolo!” Pertanto se vuoi essere felice, fa’ che qualcun altro sia felice. Fallo sinceramente e senza alcuna aspettativa e tutte le cose che darai agli altri, arriveranno anche a te. Perché l’atto stesso di donare qualcosa ti fa sperimentare che se puoi donarlo è perché ce l’hai! “

“Dio mi disse: i 25 messaggi chiave delle Conversazioni con Dio” – Neale Donald Walsch.

… Anzitutto non capisco perché, per essere felice, dovrei dare qualcosa a qualcuno, privarmi di una cosa che ho, per donarla ad un essere che non sono io, peggio ancora se non rientra nella mia cerchia di persone fidate. La gente non merita, sono tutti gentili con te finché gli fa comodo, poi ti voltano le spalle. Ogni volta che ho provato ad essere me stessa con qualcuno, alla fine mi ha ferito, perché mi aspettavo che ricambiasse, invece poi c’è stata quella volta in cui mi ha deluso perché non ha fatto quello che, nella mia testa, avevo immaginato. Ho tanto da dare ma non trovo nessuno che si comporti in modo corretto con me così da permettersi di riceverlo, a volte lo trovo, ma mi sento a disagio, ed ho paura, quindi decido di dare poco alla volta, così non mi può ferire. Cerco negli altri un “posto sicuro” in cui poter stare, me non lo trovo, così mi rifugio in me stessa, lontano dalla loro cattiveria, nella più profonda solitudine.

Quanta negatività in poche righe, vero?

Questa ero io poco più di un anno fa, imprigionata dai miei stessi pensieri negativi e dalla paura di essere ferita. La mattina mi alzavo ed indossavo la mia pesantissima corazza sorridente, non mi permettevo di vivere tranquillamente ogni persona che mi si avvicinava, con la mente trovavo sempre una scusa, un difetto o un errore, per mantenermi distaccata e non avvicinarmi emotivamente, anche quando una persona era carina con me, mi chiedevo sempre quale fosse il motivo nascosto al di sotto di tanta gentilezza. Cosi, nella stupida convinzione di sentirmi protetta dalla mia corazza, mi perdevo però la verità della vita. Giudicando negativamente le persone, perdevo ciò che di positivo avevano da offrire, impegnata a costruire muri per proteggermi, non vedevo che anche loro ne avevano, e che avrei potuto impiegare le mie energie per sfondarli, per avvicinarmi a loro, anziché tenerle lontane.

Una mattina mi sono svegliata ed ho deciso che avrei provato a sfondare muri anziché costruirli. “Ma come faccio a sfondare un muro invisibile, e soprattutto a vederlo?” L’esito della giornata è abbastanza intuibile. Quel giorno non ho né visto né sfondato muri. Ma non mi sono arresa, ed il giorno seguente ho riprovato.

Eccomi qui, un anno dopo, con le risposte che mai avrei pensato di trovare, e voglio condividerle perchè ho la certezza che tanti, come me, hanno avuto la sensazione di trovarsi di fronte ad un muro invalicabile, e che, sempre come me, hanno avuto paura di corrergli incontro. 

Cominciamo dalla parte più difficile: “come si vede un muro invisibile?” Il muro invisibile, proprio per sua stessa definizione, non si vede. Tantomeno con gli occhi. Il muro si sente, si percepisce attraverso l’energia che una persona ci trasmette. Non sto parlando di quelle cose da guru che usa le pietre per curare la gente, sto dicendo che se una persona ha dentro energia negativa, o positiva, lo si percepisce. (Non a caso, amiamo circondarci da persone ottimiste e positive, perché, con la loro influenza, riescono a metterci di buonumore).Ho cominciato ad osservare le persone che venivano in negozio da me, a percepirne l’energia, e ad osservare le sensazioni che facevano nascere in me. Chi entrava con il sorriso riempiva subito il mio animo con energia positiva e se ne andava lasciandomi una sensazione piacevole, al contrario, chi si comportava come se non esistessi, mi trasmetteva sconforto. Le persone che danno poca importanza a ciò che le circonda, sono quelle che hanno i muri più alti e spessi, perché significa che sono intrappolate nella loro mente, nei loro problemi, nelle loro sensazioni, e lo sono talmente tanto da aver creato una barriera, che le isola dal mondo, per tenere lontani gli altri e poter soffrire indisturbatamente. Anche le persone timide hanno un muro di insicurezza, ma a volte la timidezza può essere scambiata per indifferenza. Le persone fredde hanno un muro per proteggere il loro cuore che certamente è stato troppo ferito, le persone arrabbiate lo costruiscono con la rabbia per non provare dolore. Insomma, ci siamo capiti, ognuno ha il suo muro diverso da quello dell’altro.

Seconda domanda: “ come faccio a sfondare il muro?” Sfondare il muro è molto semplice: basta non giudicarlo. Mi sono resa conto che non esprimendo giudizi affrettati su una persona, è molto più semplice creare empatia con essa, trasmetterle energia positiva, ascoltarla e capirla. Se invece permetto alla mia mente di catalogare le persone per l’emozione che in quel momento le accompagna, la mia energia muta ed assorbe lo stato d’animo della persona che ho davanti agli occhi, creando un turbine di negatività che continua a circondarmi anche quando se ne è andata. L’ostacolo più grande che ho riscontrato durante i miei tentativi, è stato quello di mantenere la pace interiore quando avevo di fronte una persona scontrosa nei miei riguardi senza motivo (a volte capita di trovare clienti scorbutici a causa dei loro problemi). È stata molto dura, lo ammetto, non permettere alle emozioni negative, che lei stava facendo emergere in me, di prendere il sopravvento sul mio essere e sulla mia personalità. Cercare di guardare oltre alla sensazione che qualcuno ci sta trasmettendo, ed oltre al giudizio che subito la nostra mente si prepara a dare, è la risposta. Inoltre trattare tutti coloro che incontriamo in maniera uguale, gentile, e con accortezza, ci permette di vivere in modo più rilassato, senza troppe paranoie su chi dovremmo essere. E’ proprio il fatto di non essere i primi a giudicare, che magicamente ci trasformerà e non ci farà sentire giudicati. La frase fatta, quella del mondo che è lo specchio dei nostri occhi, è vera! Se io non giudico, la mia mente non conosce il giudizio, e quindi nemmeno lo teme.

Terza domanda: “una volta sfondato il muro, come faccio a farmi accogliere?” Semplicemente essendo te stesso, senza paura. Temiamo sempre di non essere mai abbastanza per essere amati, eppure, c’è sempre almeno una persona che ci ama proprio per ciò che siamo, nonostante i difetti. L’amore va oltre ai difetti. Per molto tempo non mi sono amata, ritenendomi non all’altezza degli standard della società, reputandomi una delle tante, senza niente di originale o di speciale. Poi ho avuto la fortuna di trovare alcune persone che hanno avuto il coraggio di dimostrarmi che per loro ero speciale, semplicemente per ciò che ero, e soprattutto quando non indossavo l’armatura, allora ho capito che avevo un muro, e che loro sono riusciti a sfondarlo perché non mi avevano giudicato e perché mi avevano amato per ciò che ero. Non ho potuto far altro che ricambiare il loro amore, ed è stato così semplice, così spontaneo, così lontano da ogni forma di paura e cattiveria.

Ecco perché dico che è importante sfondare i muri, perché seppur sia immensamente difficile, ad ogni mattone che cade, crolla anche una nostra insicurezza. Quando abbiamo la forza di abbattere muri, capiamo che non c’è più necessità di averne. Costruire muri invisibili per proteggerci è un’impresa ardua, ma quant’è difficile, quanta forza ci vuole per abbattere quelli degli altri? Se la troviamo, smettiamo di temere di non averne abbastanza per proteggere noi, anzi, non temiamo nemmeno di doverci proteggere, perché quando agiamo col cuore, e lo dimostriamo, è difficile che qualcuno non ricambi. E se non ricambia è solo perché ha ancora addosso l’armatura ed ha bisogno di tempo. Ma essere ricambiati non è l’obiettivo. Il fine, a se stesso, dello sfondare muri invisibili è capire di avere qualcosa da dare.

All’inizio dubitavo della maggior parte delle persone che mi dava qualcosa, anche semplicemente un complimento; temevo volessero qualcosa che non potevo dargli. Ora quando ricevo, sono immensamente grata, anche per la più piccola cosa, e non permetto più alla paura di impedirmi di donare, anche se ho di fronte un muro e la mia mente mi dice che chi gli sta dietro non merita. Dono ciò che riesco (e comprendo, purtroppo, di non essere Madre Teresa di Calcutta e di avere ancora tanta strada da fare), e donando è come se mi sentissi più piena. Forse è questo che intende Neale Donald Walsch quando parla della sensazione della Felicità. Felicità è sentirsi pieni ed appagati. E posso dirlo con estrema certezza che, quando riesco ad abbattere un muro invisibile, io mi sento così.

 E se anziché cercarlo, provassi ad essere io il posto sicuro per qualcuno?

Nel dubbio sii gentile. Anche con chi in quel momento non lo è con te. Magari sta combattendo una battaglia silenziosa dentro di sé, non giudicarlo, accoglilo, magari ha proprio bisogno di qualcuno che lo comprenda, e non che lo combatta. Magari ha bisogno di un posto in cui sentirsi un po’ meglio, e quel posto potresti essere tu.

escosenzaombrello

5 – Il senso della sofferenza.

” “Perdono” significa abbandonare il rancore e lasciare andare il dolore. Avviene spontaneamente quando ti rendi conto che il rancore non ha altro scopo che quello di rafforzare un falso senso di identità. Perdono significa non opporre resistenza alla vita, consentendole di vivere attraverso di noi. “

“Il potere di adesso” – Eckhart Tolle

Le cose accadono, a volte semplicemente capitano, altre sono il frutto del nostro lavoro e della nostra pazienza, più grosso è stato l’impegno, più grande sembra il miracolo. Ma quando le cose accadono nel modo sbagliato, quando ciò in cui speravamo non si concretizza, quando la realtà ci sbatte in faccia che siamo impotenti, cosa accade dentro di noi? Da ciò che pare essere il nostro profondo interiore nasce la sofferenza. A volte arriva colpendoci come un fulmine, lasciandoci paralizzati, soffocando il nostro respiro ed inondando i nostri occhi di lacrime. Altre volte cresce pian piano come un germe di granturco, silenziosamente ed impercettibilmente, fino a diventare una pianta di due metri; quando ce ne rendiamo conto è diventata talmente grande da non saper più come fare per liberarcene. Capita a volte, invece, che la sofferenza venga e se ne vada ad intermittenza, in base a ciò che accade durante la nostra giornata, altre volte invece ci lascia tranquilli, resta nascosta, finchè un giorno all’improvviso ci assale, come un mostro che sbuca da sotto il letto. Non conta però il tipo di sofferenza che ci accompagna, l’importante è sapere che ognuno di noi ne ha una, ad alcuni si legge in faccia, altri la nascondono bene, ma poco importa, che sia visibile o meno, la sofferenza esiste. L’errore che spesso si commette è confondere il luogo dal quale essa proviene. Ascoltando il nostro corpo, sembra che la sofferenza provenga da dentro, tra lo stomaco ed il cuore, quella zona lì diciamo, e che essendo dentro di noi sia impossibile fermarla, ma ciò non è propriamente corretto. È vero che la sofferenza proviene da un luogo interno al nostro corpo, però non si tratta della gabbia toracica, bensì della mente. La mente, la nostra fedele compagna di sventure, è proprio lei l’artefice della sofferenza; come un’abile maga le da vita creando uno stretto legame tra pensiero ed emozione, rendendo il loro rapporto un circolo vizioso molto difficile da fermare, più di tutto però, la sofferenza, ha origine dalla non accettazione di un dolore che abbiamo provato e tentato di reprimere, invece di ascoltarlo e di accompagnarlo durante la sua permanenza.

Un piccolo esempio: per più di un anno lavoriamo senza tregua nella speranza di ottenere una promozione che ci permetterebbe di essere qualcuno di importante all’interno dell’azienda ed anche qualcuno più ricco, con uno stipendio più alto, infatti, potremmo permetterci una casa più bella e delle vacanze in un posto migliore. Stressarci e non fare altro se non lavorare è il prezzo giusto da pagare per ottenere ciò che vogliamo, ci rimbocchiamo le maniche e viaggiamo, senza fermarci, dritti al conseguimento dell’obiettivo. A fine anno, durante la riunione, la promozione viene assegnata ad un’altra persona, che ovviamente a nostro dire non merita. La rabbia e la delusione ci piovono addosso, ci sentiamo sopraffatti, impotenti, stupidi. Abbiamo buttato più di un anno del nostro tempo inseguendo un obiettivo in cui abbiamo fallito, non valiamo niente, il mondo ci crolla addosso e soffriamo, soffriamo ripensando a ciò che abbiamo fatto, a cosa avremmo potuto fare, a cosa faremo.

La cosa esilarante della sofferenza, oltre al fatto di essere creata dalla nostra mente attraverso l’accumularsi di giudizio delle situazioni che abbiamo vissuto in passato, è che riesce a farci credere che soffrendo, riusciremo in qualche modo ad ottenere ciò che vogliamo. “Esattamente, soffrendo otterremo ciò che vogliamo. Soffrendo otterremo ciò che vogliamo. Soffrendo otterremo ciò che vogliamo, se non soffriamo non otteniamo nulla, la sofferenza è l’unico modo che abbiamo per ottenere ciò che vogliamo, soffrire ci darà quella promozione, soffrire cancellerà gli errori che abbiamo commesso in passato, soffrire farà tornare da noi la persona che amiamo ma che abbiamo perso, soffrire ci riporterà quel caro parente che ci ha lasciati un anno fa”.

No. Soffrire non ci darà niente. Soffrire non risolverà i nostri problemi. La sofferenza farà solo una cosa per noi: impedirci di vedere come stanno le cose, di accettarle, di trovare una soluzione. La Sofferenza non è mai la soluzione né tantomeno la risposta, eppure le attribuiamo questo immenso potere. Ma cosa succede esattamente quando soffriamo, e perché non riusciamo a smettere di farlo anche se ogni cellula del nostro corpo ci dice che la sofferenza non fa parte di noi? 

Un determinato avvenimento causa in noi dolore. Veniamo colti di sorpresa e restiamo increduli di fronte a ciò che è accaduto, la mente si zittisce, tutto intorno sembra surreale. Cominciamo a percepire una sensazione sgradevole all’interno di noi, si tratta del dolore, per sua natura la mente cerca subito di trovare qualcosa di alternativo a quella sensazione, per sfuggirgli, così ci suggerisce cose da fare o luoghi in cui andare per distrarci. Il dolore persiste e noi continuiamo ad ignorarlo, ad evitarlo, perché in automatico la mente ci suggerisce come fare, perché non lo stiamo accettando. Quella cosa non doveva accadere, quel dolore quindi non ci appartiene. I giorni passano e siamo bravissimi, ci sentiamo molto forti, perché abbiamo sempre trovato un modo per non farci attaccare dalla tristezza, non è riuscita a scalfirci, siamo dei vincenti! Ogni tanto qualche pensiero in merito all’accaduto ci distrae dalla quotidianità, ma ormai siamo esperti, sappiamo come reprimerlo, e lui se ne va.

Peccato però che il dolore non accettato si trasforma in sofferenza, e quella si aggrappa silenziosamente a noi, impossessandosi ogni giorno dei nostri pensieri positivi per trasformarli in negativi, diventando parte del Corpo di dolore che ognuno di noi ha. Anche se non la vediamo c’è, e non manca di ricordarcelo, anche a distanza di anni. Inconsciamente ce la sentiamo addosso, abituati a viverci insieme non ci facciamo nemmeno più caso, però le giornate non sono più le stesse di prima, ci sentiamo tristi, arrabbiati, svogliati. Non siamo più la stessa persona, ora siamo felici solo ogni tanto, tendenzialmente potremmo definirci infelici alla ricerca della felicità. Identificarsi con la sofferenza, creando un immagine di noi stessi come depressi, è tipico di chi non ha creato spazio tra il Sè e la sua mente. La mente, con l’ego che nel tempo lei ha creato per proteggersi, vive nel tempo e nella sofferenza. Indurci a confondere noi stessi con essa è il suo fine ultimo. Ma noi sappiamo, se ci concentriamo e scaviamo a fondo dentro di noi, che siamo ben altro che dei depressi, abbiamo solo paura di soffrire, anche se in realtà lo stiamo già facendo.

Accettare di provare dolore senza sfuggirli, senza cercare scuse per non provarlo, osservarlo attraverso i pensieri che fa nascere in noi, è l’unico vero modo per superarlo e non trasformarlo in sofferenza. Affrontare il dolore fa tremendamente male, ma soffrire nel presente è l’unica cosa che possiamo fare per impedire al dolore di accompagnarci anche nel futuro. Accettare che non abbiamo ottenuto ciò che desideravamo, nonostante il nostro impegno sia stato più che al massimo, è l’unica cosa che ci permetterà di andare avanti, di imparare dalla situazione, di rialzarci e fare meglio del meglio. Accettare di aver perso una persona a noi molto cara ed andare avanti con la nostra vita, non la renderà meno importante, non ce la farà dimenticare, continuerà ed essere speciale con o senza la nostra sofferenza. Credo che questo sia importante da dire, perché spesso ci sentiamo in colpa nel “lasciar andare” i nostri cari, come se la nostra sofferenza sia la prova di quanto fossero importanti per noi, come se il fatto che non proviamo più dolore per la loro perdita sia un gesto di indifferenza, ma le cose non stanno così, perpetuare il dolore non è altro che alimentare la nostra mente e il dramma negativo che tenta di tessere attorno al nostro essere, per impedirci di capire che siamo di più di quello che lei sta cercando di farci credere. I nostri cari restano importanti a prescindere dal nostro stato emotivo, restano importanti per una semplice ragione: che noi non siamo il nostro stato emotivo, noi siamo molto, molto di più, siamo l’Essere che è verità, e la verità riconosce ciò che è importante e cosa non lo è.

4 – Il settantenne con la barba.

Ogni volta che sento pronunciare la parola Dio, l’immagine di un uomo sulla settantina, con barba grigia e tunica bianca lunga, appare nel mio immaginario. Mi guarda e mi viene incontro a braccia alzate, come per accogliermi nel suo abbraccio eterno. Questa cosa mi fa impazzire. Dev’essere colpa delle suore da cui sono andata all’asilo. La cosa che io trovo assurda è che, chi ha conosciuto veramente Dio, sa che è incomprensibile a livello razionale, e per questa ragione, estremamente lontano dal mondo fisico che noi vediamo. Utilizzare l’immagine di un uomo, anche se solo a scopo esplicativo, è estremamente controproducente, infatti, se quando siamo bambini ci viene spiegato che Dio ci osserva dall’alto e ci accoglie a braccia aperte, non potremo far altro che crescere credendo di trovarlo davvero nel luogo in cui viviamo, e non in ciò che siamo. A distanza di decenni dal giorno in cui misi piede all’interno di quell’asilo, posso affermare di aver intuito che Dio è tutto’altro rispetto a ciò che viene metaforicamente raccontato dalla Chiesa. Dio esiste in un posto lontano dal luogo in cui conduciamo la nostra esistenza, ma estremamente vicino alla nostra vita. In pratica, Dio è dentro di noi, Dio siamo noi insieme al tutto. Ma da dove mi arriva questa idea? Per spiegarvi che forse non sono del tutto pazza, vi racconto della prima volta in cui ho conosciuto Dio, senza rendermene conto, e di quando ho realizzato di averlo incontrato, a distanza di anni.

Luglio 2014, Encinitas, San Diego, California.

La mia amica ha un turno di sei ore, nel ristorante in cui lavora ormai da più di due anni, di certo non posso pensare di restare lì tutto quel tempo, e poi il posto, qui intorno è stupendo. Lei mi suggerisce di fare due passi nel quartiere e di andare a visitare un giardino Zen che reputa estremamente interessante, non posso far altro che darle retta.La temperatura è perfetta, il cielo azzurro ed una leggera brezza alleggerisce il calore dei raggi del sole. Cammino guardandomi intorno, è tutto molto diverso dal’Italia, scopro l’esistenza di persone che abitano in due case a forma di barca, “parcheggiate” alla destra della via che sto percorrendo, e vedo anche una casa il cui giardino è pieno di scacciapensieri, vasi particolari, soli e lune; dev’essere la casa di una qualche maga, c’è pure un cartello con scritto “entrate siete i benvenuti”, questa cosa mi inquieta, forse è colpa della storia di Hansel e Gretel. Poco più avanti dei cervi di marmo colorato mi osservano, non stanno nemmeno in un giardino, sono esterni alla casa, praticamente sul marciapiede, che quartiere strano!Raggiungo in tranquillità i Meditation Gardens, giardini realizzati dalla scuola di meditazione ispirata agli insegnamenti di Paramahansa Yogananda. Una scalinata immersa nel verde mi accoglie e mi guida in questo mondo che definirei quasi ultraterreno per la bellezza e quiete che trasmette, tutt’intorno piante di ogni genere ombreggiano il percorso che costeggia il bellissimo laghetto in cui vivono spensierate decine di carpe koi, alcune sono enormi. Mi soffermo su ogni singolo dettaglio di ciò che mi circonda, è tutto meraviglioso, ci sono alcune piante i cui tronchi hanno strane forme, alcuni sono avvitati su sé stessi, altri hanno rami che somigliano a delle sedute, alcuni sono un tutt’uno con l’edera che li ha avvolti col passare del tempo. Mi immergo completamente nell’atmosfera di pace che percepisco, e seguendo la piccola strada, raggiungo il punto più alto, luogo dal quale posso ammirare la panoramica completa del giardino e dell’oceano che lo costeggia. La brezza oceanica mi sfiora ed insieme al calore del sole mi culla dolcemente accompagnandomi per l’intera mattinata in questo mio viaggio esplorativo, non sento altro che pace, nessun pensiero mi sfiora, è come se esistesse solo quel momento. Saluto e ringrazio il giardino per avermi ospitata, e raggiungo, scendendo una lunga scalinata in legno, l’oceano che oggi è abbastanza arrabbiato. Stendo la salvietta sulla sabbia e mi lascio cullare dal suono delle onde, non esiste più niente intorno a me, se non quell’estrema sensazione di quiete trovata nel giardino ed intensificata ancor di più dal profumo della salsedine. Mi sforzo di uscire da quello stato di estasi, ma la mia vita in Italia, il mio passato ed il mio futuro restano sfuocati e lontani da quel momento, tutt’intorno è pace, io divento pace. Il telefono squilla, ma non sono pronta per rispondere, squilla ancora insistentemente.  E’ la mia amica che mi cerca, credendo sia dispersa. A malincuore abbandono lo stato di quiete e riprendo coscienza del mio corpo, mi alzo, ripiego la salvietta, indosso le scarpe, e mi avvio di ritorno verso il luogo dal quale sono partita.

Il prezioso ricordo di quegli istanti è rimasto indelebile nel profondo del mio Essere,  è impensabile riuscire a trasmettere la sensazione attraverso l’uso della parola, ma spero di essere riuscita anche solo vagamente a rendere l’idea di quella che è stata la mia esperienza. Sono trascorsi anni da allora, e niente di simile mi è più ricapitato, se non sporadicamente, quando per esempio mi trovavo rilassata su una qualche spiaggia in vacanza, o qualche istante prima di risvegliarmi completamente dal sonno ristoratore della notte. E quale sarebbe il legame che tutto ciò ha con Dio? Quale sarebbe il momento in cui l’hai incontrato?

Un giorno, mentre leggevo Osho senza comprendere mezza parola di quello che nel testo lui stava cercando di dirmi, ho realizzato che forse, se davvero un Dio esiste, l’ho sempre cercato nel posto sbagliato. Osho spiegava che Dio si può incontrare tra l’addormentarsi ed il risvegliarsi, ma non nel sonno, solo negli istanti che lo precedono o che lo susseguono, ho provato ogni sera ed ogni mattina a prestare attenzione a quella sensazione di pace che provavo, ed allora lì ho capito di averlo già incontrato, dentro di me, quel giorno in California. 

In pratica Dio è quanto di più lontano possibile dalla raffigurazione umana che gli viene spesso data, e si, ne sono consapevole, che quella raffigurazione è una metafora, ma resta comunque sbagliata, perché è troppo difficile da interpretare, troppo terrena e troppo razionale. Se dovessi brevemente riassumere il concetto personale che io ho di Dio, lo racconterei cosi: Dio è la quiete che troviamo dentro di noi quando riusciamo ad essere completamente immersi nella sensazione che proviamo, istante dopo istante, lontano dall’illusione del tempo, in un momento di assoluta presenza, lontano dal passato che ha caratterizzato la nostra esistenza ed ancor più lontano dalle ansie del futuro. Dio è sempre presente in noi, e possiamo trovarlo ogni volta che vogliamo, semplicemente smettendo di dare ascolto alla nostra mente chiacchierona. Inizialmente potremo considerarlo come un coinquilino che risiede con noi nel nostro corpo, e già questa potrebbe essere una bella spiegazione, ma non è proprio così; dopo un’attenta osservazione del nostro Essere, comprenderemo che Noi e Dio siamo una cosa sola.

Noi, senza il nostro mondo terreno che ci fa da “casa”, senza il nostro corpo e senza la nostra mente pensante, Noi siamo Quiete, Pace, Luce, Amore. 

E tutto ciò cos’è se non Dio?

3 – Amore amaro.

Soffrire per amore. Che pena. Una pena che è toccata a tutti almeno una volta nella vita. E se non ti ha colpito, o sei un alieno o sei un Illuminato. 

E l’amore che in troppi hanno decantato in poemi e sceneggiature, film, libri, canzoni, cos’è esattamente? L’amore appartiene a quella categoria di cose che si possono descrivere solo per ciò che non sono. Non appartenendo alla sfera razionale, l’Amore, è incomprensibile su quel livello. Non proviamoci nemmeno a capirlo, ma se proprio lo vogliamo fare, uno dei modi più chiari per comprendere se si ama o no qualcuno è porsi la domanda “perché lo amo?” Ed avere come risposta da se stessi, dopo almeno dieci minuti buoni di riflessione, un bel “non ne ho idea”, seguito poi da una lista di aggettivi più o meno banali nel tentativo di dare giustizia al partner ed al sentimento che proviamo per lui. Perché non ci basta la semplice risposta “non lo so”? Non basta perché la nostra mente non accetta l’inesistenza di spiegazioni. Per la mente ogni cosa deve avere una spiegazione, lei è nata per aiutarci a svelare ogni mistero, e se non riesce a trovare una risposta, ci logora fino allo stremo. Prendere atto di questa determinazione mentale potrebbe essere la nostra salvezza, ma prima è necessario capire cos’è l’amore e perché, se non corrisposto, ci fa soffrire. 

Siccome non possiamo utilizzare la ragione per trovare e capire cos’è l’amore, dovremo cercarlo nel posto dove la ragione non esiste. Dentro di noi, nel nostro Essere, nel luogo senza tempo e senza mente dove ci rifugiamo per meditare. A dirla tutta l’Amore è il nostro Essere, cioè, noi siamo amore, e lo siamo perché l’amore è Dio, e Dio (non il signore con la barba che immaginiamo tutti quando se ne parla), dicevo, Dio siamo noi. Ma questo è un altro discorso, non perdiamoci per strada!

Insomma, troviamo l’amore dentro di noi, e per noi risulta impossibile non esternarlo, siamo nati per questo, anche se ce lo siamo dimenticato. Non lo diamo a tutti ma solo a pochi eletti perché il nostro ego decide al posto nostro. Vediamo qualcuno, la nostra mente subito lo cataloga con i suoi soliti giudizi, bello brutto simpatico antipatico troppo basso troppo chiacchierone etc etc, ed infine l’ego (sempre a braccetto con la sua amica Mente) decide se possiamo farlo entrare nella nostra cerchia ristretta di affetti e quindi donargli il nostro prezioso amore centellinato, oppure se considerarlo non idoneo ed abbandonarlo a se stesso, lì dove lo abbiamo trovato. Bello vero? Questa sono io, sei tu, siamo noi e siamo tutti, che ci comportiamo così, e così facendo ci perdiamo la bellezza del mondo. Certo poi ci sarà sempre qualche disgraziato di cui ci fidiamo che ci farà qualche sgarro, ma se saremo abbastanza consapevoli da vedere la sua inconsapevolezza, impareremo a non dare peso a questo genere di azioni e persone, e soprattutto diventeremo bravi a non trasformarle in esperienze così negative da precluderci la possibilità futura di trovare qualcuno speciale. 

Dicevo che risulta impossibile non esternare l’amore quando troviamo qualcuno che abbia superato tutti i test, così piano piano, cominciamo a lasciarlo andare ed a donarlo a questa persona che fa altrettanto. Tutto è fantastico, sembra di volare a cavallo di un arcobaleno, ci si fida l’uno dell’altro, si va d’accordo, ogni giorno è meglio del precedente. Se qualcosa va storto se ne discute oppure si lascia perdere, sono solo dettagli infondo. E così per sempre, per l’eternità. Sarebbe bello vero? Magari accadesse. Ma non succede, perché qualcosa va storto. Dov’è finita la passione? Ed il desiderio? Com’e possibile che la stessa persona che prima mi faceva toccare il cielo con un dito, ora mi faccia vedere l’inferno? Dev’essere successo qualcosa di inspiegabile, ma le cose non sono più come prima, e se ci fosse un’altra persona di mezzo? E se io non fossi abbastanza? O forse sono troppo, o magari non siamo le persone giuste. Se solo cambiasse quei quattro difetti che ha… Ho investito così tanto tempo in questa cosa, com’è possibile che stia finendo così? La risposta è una ed è semplice. Ogni emozione proveniente dal mondo fisico ha un suo contrario. Tutto ciò che proviamo durante l’innamoramento non è destinato a durare. Come dicevo, le emozioni non appartengono al nostro vero Sè, transitano attraverso il nostro corpo, a volte se ne vanno, altre lasciano residui, proprio gli stessi residui che causano in noi dipendenza, come la droga, non a caso l’innamoramento è tra le droghe più potenti. Proprio come ogni dipendenza, prima si vola, poi ci si schianta a terra. L’Amore proveniente dal nostro Essere, invece, non conosce opposti perché esso è vita.

Quindi ci siamo innamorati ma senza amore? Esatto. Un’amicizia può essere la prova di Amore più di un innamoramento stesso. Perché ciò che attraverso il tempo è soggetto a mutamento, non appartiene al mondo dell’Essere, che è eterno. (Eterno: che non ha inizio nè fine, non soggetto alla legge del tempo e dello spazio).

Ora che abbiamo capito (e se così fosse saremmo già salvi) che il nostro innamoramento è stata la nostra droga, è necessario disintossicarci. Ma soffriamo, soffriamo terribilmente, perché le cose con questa persona non vanno bene, e dobbiamo lasciarle andare per essere felici, ma ogni volta che lo facciamo, ogni volta che decidiamo di voltare pagina, soffriamo. E la situazione è insopportabile. Interviene allora il nostro fedele compagno di sventure, l’ego, che ci suggerisce di trovare delle emozioni o ancor meglio dei sentimenti, che ci facciano sentire forti ed indifferenti, così niente potrà continuare a ferirci. La rabbia è sicuramente l’emozione più giusta da provare, soprattutto se indirizzata verso l’altra persona, ma anche il risentimento, alla fine sarà senz’altro colpa sua se le cose non sono andate come da programma. Un po’ di autostima non guasta ed ecco che il gioco è fatto! Non sentiamo più dolore, ma una forza incredibile e strafottente che ci fa venire voglia di divertirci e di voltare pagina! Come abbiamo fatto a non pensarci prima. Per fortuna c’è la nostra mente che ci ha pensato al posto nostro. Siamo salvi!

Eppure, alcuni giorni, magari di pioggia, o la sera, prima di dormire, arriva quella malinconia, accompagnata dal pensiero dei bei vecchi tempi andati, e ci sentiamo tristi. Ma com’e possibile? Avevamo affrontato la cosa, ne eravamo usciti! Perché siamo tristi?

Siamo tristi perché l’ego ha fatto tanto per noi, per aiutarci a non vedere la sofferenza, ma si è dimenticato di dirci che avremmo dovuto semplicemente accettarla ed aspettare che se ne andasse. Ma si sa, l’ego sopravvive solo grazie al tempo, e lui, più rimandiamo più a lungo sopravvive.

Dunque, nel tentativo di non soffrire, abbiamo creato nella nostra mente una serie di emozioni negative in modo da proteggerci dal dolore che avremmo provato accettando che la nostra storia d’amore fosse finita, ma tutto ciò non è servito perché, nonostante il trascorrere del tempo, abbiamo pensieri che tutt’oggi ci tormentano sulla questione! I giorni passano, abbiamo trovato altro da fare e nuove persone con cui stare, ma è come se fossimo sempre accompagnati da una strana ansia, che aumenta ogni volta che proviamo ad innamorarci, e ci fa paura, allora temporeggiamo, e poi infondo chi ce lo fa fare di stare con qualcuno in modo serio, e se poi va male come l’altra volta?

Questo era solo uno dei tanti esempi che avrei potuto fare, ma spero di aver espresso in maniera abbastanza chiara quale sia il mio punto di vista ed il significato che io personalmente do all’amore. Lo riassumerei così:

L’amore nasce nello stesso luogo da cui proveniamo noi, l’Essere. Nasce senza apparente motivo ed inspiegabilmente, agli occhi della mente e della ragione che la rappresenta. Se tenuto lontano dal nostro ego, l’amore fluisce da noi verso l’altra persona in modo spontaneo ed eterno, se influenzato dalla nostra mente egoica invece, si trasforma in una dipendenza da cui è sempre impossibile uscirne illesi. Per avere la certezza della sua autenticità, basta chiedersi se questo Amore ha un motivo, se non si riesce a spiegare, è perché allora è Amore puro.

Quando la persona che amiamo non ricambia, soffriamo perché il nostro Essere vorrebbe dargli amore incondizionato, ma il nostro ego è troppo orgoglioso e crede che dare amore senza riceverne lo distruggerà, così ce lo impedisce creando per noi uno scudo di sentimenti negativi atto a non farci soffrire. La sofferenza è inevitabile, se non c’è accettazione. Accettare significa osservare la mente che crea negatività senza giudicarla o tentare di reprimere ciò che sta raccontando, ricordando che ogni cosa ha un inizio ed una fine, ed anche questa rabbia terminerà, quando l’avremo accettata completamente. 

Una volta liberi dalle emozioni negative, potremo dedicarci al dolore, accettandolo, concedendogli di esistere dentro al nostro corpo, permettendogli di sfogarsi attraverso le nostre lacrime, abbracciandolo con la compassione che troveremo dentro di noi, nel luogo in cui siamo e troviamo la pace.

Alla fine scopriremo di che amore si trattava. Se era quello effimero del l’innamoramento, se ne andrà così com’è arrivato. Se era Amore dell’Essere continuerà ad esistere dentro di noi, se ne avremo modo, continueremo a darlo alla persona per cui è nato, in alternativa ci accompagnerà nel nostro viaggio, arricchendoci, senza mai pretendere nulla in cambio.

2 – La noia del vuoto.

Se la mente incontrollata è il mio problema, come posso fare per imparare a controllarla? 

Mi aggiro tra gli scaffali della libreria nella quale sono entrata in cerca di valide risposte, di un libro che possa illuminarmi. Scorro con gli occhi i titoli dei libri scritti da grandi pensatori, come Osho e il Dalai Lama, ma non mi attirano. Mi attira solo un libro dalla copertina colorata, si intitola “Mindfulness in pratica”. Sfogliandolo mi rendo conto che è scritto ed illustrato in modo piacevole e che sembra davvero una guida per chi desidera intraprendere un percorso interiore alla scoperta di sé. Somiglia quasi ad un libro per bambini. Forse ho trovato quello che cercavo.

Torno a casa e comincio la lettura.

Il libro mi dice di concentrarmi fissando un bicchiere, oh no, qui si mette già male, non ho nemmeno iniziato che già un’ondata di noia pervade il mio corpo. Quanto può essere utile fissare un bicchiere? Poi mi dice di osservare una moneta, poi mi fa chiudere gli occhi e dice di indirizzare tutta la mia concentrazione sul respiro, sull’aria che entra ed esce dal naso, inspiro e l’aria entra nei polmoni, espiro e l’aria esce, inspiro e mi viene da dormire. Pessima idea, la meditazione non fa per me, ma com’è possibile che sia così ben vista e praticata da così tanta gente al mondo? Devono essere tutti pazzi. Basta mi sono già annoiata, proseguirò la lettura senza fare gli esercizi.

Il testo basa i suoi principi fondamentali sul prestare attenzione al momento presente senza giudizio. Ma cosa significa? In pratica vuol dire svolgere un’attività pienamente consapevoli di ciò che stiamo facendo, senza permettere alla mente di raccontarci delle storie in merito, senza esprimere giudizio. Un esempio più pratico potrebbe essere parlare con uno sconosciuto ed ascoltarlo pienamente concentrati, ed ogni volta che la mente con i suoi schemi ricorrenti, cerca di esprimere in giudizio in merito al nostro interlocutore, fermarla e riportare l’attenzione sulle parole della persona che abbiamo di fronte. Alla fine della chiacchierata, dobbiamo restare in allerta ed aspettare che la mente tragga le sue conclusioni, per interromperla, permettendo così al tempo di rivelare la vera personalità dello sconosciuto senza formulare giudizi affrettati. Osservare, controllare ed interrompere la mente è estremamente difficile, perché essa tenta in ogni modo di opporre resistenza. Ma ritengo che la parte più complessa di questa operazione sia proprio riconoscere quando una considerazione appartiene al nostro io interiore o è opera della mente egoica.

Ecco allora a cosa serve quella noiosissima meditazione! Meditare crea spazio intorno al nostro io interiore, al nostro Essere, permettendogli di esistere senza essere disturbato dal chiacchiericcio della mente. Per identificare il nostro Io interiore è necessario fare pratica e la meditazione è la via d’accesso più veloce. All’inizio il nostro Essere si intravede solo per pochi istanti prima che la mente egocentrica ci distragga, ma col tempo e la pratica, questo Sè interno al nostro corpo si rivelerà sempre più chiaro, e si trasformerà in un portale di accesso per un luogo di quiete e gioia senza tempo. 

Dopo un periodo di perplessità, ho però avuto conferma che all’interno del mio corpo esistono varie entità (chiamiamole così): 

  • l’Essere (Io interiore, la mia personalità, la mia essenza che resta invariata a prescindere dalle condizioni esterne al corpo e dai suggerimenti dettati dalla mente)
  • La mente, strumento utilissimo che ci permette di dare il meglio di noi stessi durante la nostra esistenza, ma che ha il grosso difetto di essere egocentrica, vuole sempre essere la protagonista indiscussa di ogni nostra azione, si sente costantemente minacciata dalle opinioni altrui ed è pronta a giudicare qualsivoglia cosa catturi la sua attenzione, parla costantemente anche se non è interpellata, elargisce consigli mirati a renderla sempre più importante agli occhi degli altri, e soprattutto adora viaggiare nel tempo, rivangando il passato o ipotizzando sul futuro, spesse volte in modo negativo, distraendoci da ciò che invece è importante: il momento presente, che è infatti l’unico momento reale che abbiamo per agire.
  • Le emozioni, che descriverei come campi energetici rilasciati dagli impulsi che la mente manda al cervello. Esse sono molto utili in caso di emergenza, ma spesso questa emergenza non accade nel presente, è solo una proiezione di un passato irrisolto o di un futuro imminente, e così si trasformano in ansie e paure persistenti, difficili da riconoscere e da risolvere, perché infatti non riguardano il momento in cui nascono e quindi non sono reali. Le emozioni, se riconosciute sul nascere, possono essere una grande guida per il nostro percorso conoscitivo, ma se non identificate, sono la rovina della nostra esistenza, sono la nebbia che ci circonda ogni giorno. Le emozioni positive, come la felicità e l’entusiasmo, sono certamente piacevoli, ma anch’esse devono essere osservate e lasciate andare, perché aggrapparsi ad esse creerebbe dipendenza, e come ogni dipendenza, causerebbe picchi di malumore. (Torneremo su questo argomento più avanti).
  • Il corpo di dolore, un’entità a molti sconosciuta, è un’accumulo di energia repressa causata dalla non espressione delle emozioni che abbiamo provato in passato. Queste emozioni hanno lasciato dei residui emotivi che pian piano, unendosi tra loro, hanno dato vita a questo corpo energetico, che spesso è latente e resta nascosto, ma se risvegliato, causa in noi intere giornate di sofferenza, rabbia, nostalgia, e chi più ne ha più ne metta. Ne parlerò meglio in un capitolo dedicato.

Concludendo, sono rimasta sconvolta di sapere che ciò che prima ritenevo essere me stessa, non è altro che un insieme di tutti questi elementi, che convivono indisturbati ed ingovernati, nell’anarchia più totale. Causando in me un estremo disordine mentale ed emotivo. E’ tempo quindi di rimboccassi le maniche, e di mettere al loro posto ogni cosa, chissà, forse da piccola stavo bene perché non si erano ancora conosciuti. In questo momento ho una certezza. La rovina della nostra esistenza comincia quando impariamo a leggere l’orologio, quando impariamo che esistono uno ieri ed un domani. La nostra più grande rovina è il tempo, perché è il luogo surreale dove esistono mente, emozione e corpo di dolore. Il mio obiettivo sarà quindi imparare a vivere senza tempo, nel qui ed ora, in questo momento, nell’Adesso.

“Mindfulness” in pratica

“Mindfulness significa prestare attenzione consapevole, nel momento presente,
senza nessuna forma di giudizio.”

1 – Nebbia in pieno giorno.

Credo di aver avuto una reale visione del mondo fino al compimento degli undici anni. Poi qualcosa dev’essere andato storto e tutto s’è come trasformato. 

Prima che ciò accadesse, mi piaceva uscire sul balcone, a casa della nonna, e, la sera, guardare le nuvole che cambiavano colore seguendo il lento abbassarsi del sole. Le osservavo ed il solo osservarle infondeva in me un’immensa pace. Alcune erano semplici e paffuti batuffoli di cotone, altre raccontavano storie di animali fatati, certe invece erano la casa di tutti i nonni che abitano in paradiso. Sotto alle nuvole, abbassando lo sguardo, ricambiava il mio saluto una magnolia alta poco più di quattro metri, con le foglie verde scuro e color nocciola, e con i suoi grossi, profumati e candidi fiori. Anche a lei piaceva guardare le nuvole, così lo facevamo insieme, ogni sera, quando ero dalla nonna, ed insieme gioivamo della quiete del tramonto. Non ho mai messo in dubbio che alla magnolia non piacesse la mia compagnia, e nemmeno alle nuvole, ero certa che loro non mi giudicassero, io d’altronde facevo altrettanto. 

Ho trascorso l’infanzia giocando nel giardino condominiale, e già il solo chiamarlo così non può dare giustizia al modo in cui i miei occhi lo vedevano, e tutt’oggi ancora lo vedono. Chi per la prima volta percorre il viale d’ingresso e si ritrova circondato da palazzi e balconi che affacciano su un prato, non la descrive come una grande esperienza, e non può certo definirlo bello, ma per me resta sempre lo stesso posto in cui ho imparato ad arrampicarmi sugli alberi, e dove sono caduta in bicicletta tagliandomi una caviglia. Tutto ciò per dire che ognuno di noi vede le cose attraverso la propria esperienza, con i propri occhi che hanno visto centinaia di cose simili, e con la propria mente che ha abilmente catalogato tutte le centinaia di cose come belle, brutte, normali, divertenti, noiose, e chissà quanti altri aggettivi. Ma al di là del nostro singolo modo di vedere il mondo, ci sarà un vero modo di osservarlo, ci sarà una vera natura di questo mondo non deturpata dal nostro giudizio? A quanto ho capito, un modo c’è, non è propriamente facile trovarlo, ma esiste, e questo è il racconto del mio viaggio. Un percorso che ho voluto intraprendere nella speranza di ritrovare la stessa pace che sentivo quando stavo con la mia amica magnolia mentre guardavamo le nuvole.

Ma cosa c’entra la nebbia? E da quando è un problema se accade di giorno? Se proprio, potrebbe essere fastidiosa di notte, che se stai guidando devi accendere i fari fendinebbia e non ricordi mai dove sta quella benedetta rotella da girare, o potrebbe darti noia se devi uscire a buttare lo sporco ed hai paura di non vedere un procione nascosto tra i cassonetti, pronto a derubarti di tutti gli interessanti averi che stai per gettare. Ma che fastidio potrebbe dare della banale nebbia in una qualsiasi giornata, magari di sole? Che possa più o meno infastidirci è irrilevante, ciò che conta però è che camuffa la reale condizione di ciò che ci circonda, lo rende meno limpido, anche il sole ad esempio, rende la sua luce fioca. La nebbia è una condizione atmosferica di breve durata, solitamente, quindi basta aspettare e tutto torna come prima, ma se un giorno dovesse restare? Se non dovesse più andarsene? Riusciremmo a vivere ogni singolo giorno della nostra esistenza, circondati dalla nebbia? Che seccatura sarebbe.

Eppure, ognuno di noi, ogni giorno, trascorre le proprie giornate accompagnato da una nebbia, che non è la nebbia di cui abbiamo appena parlato, è una nebbia che esiste dentro di noi. Alcuni la percepiscono come sbalzi di umore, altri come stress, c’è chi la sente tutto il giorno nella sua testa che gli ricorda di non aver fatto quello, di aver dimenticato quell’altro, alcuni vengono colti all’improvviso dall’ansia di non essere abbastanza bravi, ad altri una voce nella testa suggerisce di mollare tutto e di sparire dalla terra. La nebbia si manifesta in centinaia o migliaia di modi diversi, ma a tutti gli effetti ha solo un nome, il suo nome è Mente. Si, parlo proprio della mente, quella che esiste nel nostro cervello, quella che ci fa ricordare di andare in posta, quella con cui facciamo i conti di fine mese, quella che si ricorda del compleanno del nostro gatto, quella che si inventa le scuse quando non abbiamo voglia di fare qualcosa, si insomma, abbiamo capito di chi si tratta.

E perché mai uno strumento così utile dovrebbe essere guardato in questo malo modo? “Se non esistesse non potrei pensare, non potrei creare, o agire, se non esistesse, io non esisterei!”

E’ assurdo vero? Credere di poter essere qualcuno al di fuori della propria mente, eppure a quanto pare è proprio così. Noi siamo esattamente quel qualcuno che esiste al di fuori della mente, al di fuori di quella parte del nostro cervello che continua a blaterare tutto il giorno, incessantemente, che insieme alle sue amiche emozioni ci suggerisce di fare la cosa sbagliata al momento giusto, che ci fa sentire in colpa perché abbiamo sbagliato ascoltandola. Eh si, potrei descriverla in tantissimi altri modi, ma il modo più coinciso per farlo, per riuscire a capire che la mente non è me stessa, è sperimentarlo.

Sono io che penso, o è la mente che lo fa? Ma io sono la mia mente, quindi se non voglio pensare non penso, giusto? MAGARI! Ogni mio problema esistenziale sarebbe finito, se io riuscissi a comandare i miei pensieri, eppure non riesco, e mi arrabbio perché non vorrei tormentarmi con determinate questioni, eppure anche se non voglio, il tormento arriva, perché le questioni si presentano nella mia testa, ma io non voglio vederle. Ma quindi se io le penso senza volerle pensare, allora forse davvero non sono io a pensarle, allora forse mi vengono proposte dalla mente senza che io glielo chieda? ESATTO. Questo fenomeno si chiama “vagabondaggio della mente” ed è la rovina dell’umanità.

Mettiamoci seduti, ad occhi chiusi, concentrati. Inspiriamo col naso, espiriamo col naso, concentriamoci sulla poco interessante attività dell’aria che entra ed esce dai nostri polmoni. Ora, senza distrarci, aspettiamo che arrivi un pensiero… “pensiero?? Dove sei? Non ti vedo… sto pensando che non arrivano pensieri… è forse questo un pensiero?…che strano, in questo momento mi sento come più leggera.. il pensiero non arriva, sto perdendo la concentrazione… che noia… non ho dato da bere al basilico!” Eccolo il pensiero.. l’emozione della noia ci ha distratto dalla difficile attività di aspettare un pensiero, così la mente ha potuto ricordarci della povera pianta di basilico.

Ogni volta che siamo pienamente concentrati su qualcosa, nessun inutile pensiero ci attraversa, siamo al cento per cento noi stessi, in piena concentrazione e creatività, il nostro essere fluisce, da dentro il nostro corpo a fuori, nell’attività che stiamo svolgendo, in un flusso continuo di presenza. E quando con noi c’è la nostra amica Presenza, la signora Mente non è mai invitata.

Quando, invece, non siamo pienamente concentrati su qualcosa, la nostra mente fa festa e ci racconta di tutto e di più, senza freni, a volte si limita a parlare, altre invece stimola il nostro cervello a mandare segnali al corpo, ed ecco che arrivano anche le emozioni, a suggerirci che è una pessima giornata, o che siamo tristi. Eppure poco prima stavamo bene! Cos’è cambiato? Siamo sempre nello stesso posto, stiamo facendo la stessa cosa, ma prima stavamo bene, ora no. E’ la nostra mente che, non “addestrata”, si diverte a rivangare il passato e a fare premonizioni sul futuro, spesso con tendenza negativa.

Tutto ciò ribadisce il concetto che la nostra mente è la nebbia della nostra vita, non avremo mai una bella giornata fintanto che la ascolteremo, finché crederemo in ciò che ci racconta, fino a che non impareremo a mandarla via, comprendendo che lei il suo lavoro lo fa bene, quello di elaborare i dati raccolti, ma non benissimo, perché ci ripropone tutto, anche le cose che avrebbe dovuto archiviare, e giudica, tutto ciò che ci circonda in base all’esperienza che ha avuto. 

Ma un giorno non è mai esattamente uguale ad un altro, no?